Fra John Adams e Peter Sellars esiste un sodalizio artistico lungo trent’anni, che ha prodotto dei veri e propri classici delle scene operistiche contemporanee. Nixon in China, del 1987, ispirata alla storica visita del Presidente Richard Nixon e del Segretario di Stato Henry Kissinger ai leader cinesi Mao Zedong e Zhou Enlai nel 1972, The Death of Klinghoffer del 1991, drammatica narrazione del rapimento dall’Achille Lauro e assassinio dell’ebreo Leon Klinghoffer da parte di un gruppo estremista palestinese, e Doctor Atomic del 2005, ricostruzione delle vicende del fisico Robert Oppenheimer e del Manhattan Project che portarono alla creazione della prima bomba atomica: sono solo tre tappe del loro personale contributo alla costruzione di un’epopea operistica americana.
Dopo la parentesi sacra del Gospel according to the other Mary del 2012, l’epopea americana di Adams e Sellars continua con un passaggio fondamentale: questa volta si parla della Gold Rush, la corsa all’oro che nella metà del XIX secolo spinse molti americani a cercare fortuna nel selvaggio West. Il prossimo 21 novembre la San Francisco Opera accoglie in prima mondiale Girls of the Golden West, co-prodotta con la texana Dallas Opera e l’Opera Nazionale Olandese di Amsterdam, che partecipano anche alla produzione dell’allestimento firmato dallo stesso Peter Sellars, con le scene di David Gropman, i costumi di Rita Ryack, il disegno luci di James F. Ingalls e le coreografie di John Heginbotham.
Inevitabilmente il titolo rimanda all’opera di Puccini, ed è proprio dalla proposta fatta anni fa dal Teatro alla Scala al regista Peter Sellars di allestire La fanciulla del West (progetto mai andato in porto) che nasce l’idea di creare una versione più autentica dell’epopea della febbre dell’oro rispetto a quella edulcoratissima del dramma del 1905 di David Belasco, fonte principale del lavoro pucciniano. «È una di quelle cose per le quali la verità è molto più forte di qualsiasi cosa si possa inventare» secondo Sellars, ma qualsiasi intento polemico nei confronti del Far West di Belasco&Puccini è escluso. È molto chiaro John Adams: «Non voglio denigrare o criticare il dramma di Belasco. Penso sia un lavoro legato al suo tempo, nello stesso modo in cui lo sono le storie di Jack London. Se lo si legge attentamente, in Jack London c’è molto di non detto: i lettori non volevano saperne di cinesi o messicani e nemmeno dei pochissimi neri che erano da quelle parti. La nostra storia è una specie di versione alternativa della Fanciulla del West».
«La corsa all’oro era gravida degli stessi conflitti sociali e politici che conosciamo oggi – nativismo, razzismo, avidità opportunistica e degradazione ambientale» (John Adams)
Ambientata nei campi dei minatori dei monti della Sierra Nevada negli anni della corsa all’oro, Girls of the Golden West è un’opera corale, che ha per protagonista Dame Shirley, pseudonimo di Louise Clappe, in viaggio con il marito dal Massachusetts alla California della corsa all’oro. L’epoca è la metà dell’Ottocento e la scena è quella di un villaggio di cercatori d’oro, Rich Bar nei pressi del fiume Feather in Sierra Nevada. Fra i minatori bianchi, vivono anche Ah Sing, una matura prostituta cinese approdata in America in cerca di un buon partito, il nero Ned Peters, uno schiavo affrancato, e la coppia messicana Josefa Segovia e Ramón, lei cameriera e lui barista del bar dell’Empire Hotel. Nella piccola comunità i rapporti sono tesi. L’intolleranza finora latente dei minatori bianchi esplode in una violenza cieca e feroce verso il diverso proprio nel giorno in cui si celebra l’Indipendenza. La violenza non si placa nemmeno con l’esibizione di Lola Montez nella famigerata Danza del ragno («Sarà la mia personale versione yankee della Danza dei sette veli della Salome, ma senza teste mozzate», promette Adams) e tanto meno serve il discorso ispirato ai principi della Nazione fatto da Ned, che riesce a mettersi in salvo a malapena come Ah Sing. La messicana Josefa, invece, accoltella a morte il minatore Joe Cannon per sottrarsi al suo tentato stupro e viene quindi impiccata dopo un processo sommario davanti a tutti gli abitanti del villaggio. Turbata da tanta violenza e perso in Ned il solo amico sincero, in un desolato paesaggio di detriti, di uomini rovinati dall’alcol e delle loro sozzure, Dame Shirley si rimette in viaggio con un canto ispirato alla bellezza selvaggia della California e al suo cielo blu: “Il fiume … e queste vecchie montagne maestose, più attraenti che mai, e, come un’immensa cavità di puro zaffiro, senza macchie o graffi, il meraviglioso cielo di California, di cui non si parla mai abbastanza, fa scendere su tutto il suo impenetrabile splendore”.
«La Danza del ragno sarà la mia personale versione yankee della Danza dei sette veli della Salome, ma senza teste mozzate» (John Adams)
Come già per Doctor Atomic, Peter Sellars firma il libretto che, anche per questo nuovo lavoro, è costruito come un mosaico di fonti e testi originali dell’epoca. Tasselli del suo mosaico testuale sono i racconti di Mark Twain, articoli di giornali e riviste dell’epoca, testi di canzoni della Gold Rush, oltre a discorsi e slogan dei politici dell’epoca. Soprattutto Sellars ha lavorato sulle ventitré lettere scritte dalla vera Louise Amelia Knapp Smith Clappe alla sorella in Massachusetts, e pubblicate a puntate nel Pioneer Magazine, testimonianza vivida dei quindici mesi trascorsi in quel villaggio di cercatori d’oro che fa da sfondo alla vicenda dell’opera. Un mosaico testuale, che Sellars spiega così: «Abbiamo fatto abbastanza progressi nella storia umana per sapere che non c’è un’unica voce nella storia, ma che la storia è fatta da dozzine, da milioni di voci. Interessante è l’interazione di tutte queste voci differenti e la contraddizione di questa voce accanto a quella voce. Quest’accumulazione di voci è il tessuto della storia». Voci che raccontano soprattutto quelle piccole storie, che il tempo ha cancellato dalla memoria e dalla grande storia. Una storia fatta anche di persecuzioni e di deportazioni come quelle, poco note, che interessarono la comunità cinese in California («senza la Cina non esisterebbe la California», sostiene Sellars), testimoniate dal canto della prostituta Ah Sing, che si esprime con le parole delle poesie scritte dai lavoratori immigrati cinesi spesso sulle pareti dei centri di detenzione dov’erano rinchiusi prima di ottenere il permesso di ingresso o in attesa dell’espulsione.
«Abbiamo fatto abbastanza progressi nella storia umana per sapere che non c’è un’unica voce nella storia, ma che la storia è fatta da dozzine, da milioni di voci» (Peter Sellars)
Ma già è chiaro dalle Girls del titolo e da quei personaggi di donne forti che l’opera vuole soprattutto restituire alle donne il ruolo che hanno avuto nella conquista del West. Un ruolo finora poco riconosciuto. «Tutte le storie del West riguardavano uomini e in quei tempi le donne erano pochissime laggiù. Pochissime», dice Adams. «Mi affascinava come una donna potesse sopravvivere fra queste persone così imprevedibili, i cercatori d’oro».
Quanto alla musica, John Adams ha rinunciato a rifarsi alle musiche californiane di metà Ottocento, su cui ha fatto ricerche approfondite ma, come spiega, «la musica di quel periodo e in quei luoghi era piuttosto primitiva e poco originale e ho ritenuto non fosse interessante cercare di incorporarla nella mia partitura». Originario del New England ma trasferitosi nella zona di San Francisco fin dal 1971, John Adams è ormai californiano a tutti gli effetti e spiritualmente vicino a quel mondo descritto nella sua opera più recente, che promette di ricreare all’ascolto del pubblico contemporaneo pur senza rinunciare al proprio linguaggio musicale. «Sembrerà e probabilmente suonerà più storica di, ad esempio, Doctor Atomic o Nixon in China. Le scene di David Gropman sono meravigliosamente evocative del 1852 e i testi originali della corsa all’oro che ho musicato sicuramente daranno alla musica un tocco storico», spiega Adams. «Ma la verità è che la corsa all’oro era gravida degli stessi conflitti sociali e politici che conosciamo oggi – nativismo, razzismo, avidità opportunistica e degradazione ambientale». Ma malgrado il paesaggio fosco, rassicura il compositore, «le nostre storie sono socialmente aspre ma allo stesso tempo molto divertenti».
A San Francisco, a far rivivere sulla scena l’epopea del Golden West saranno Julia Bullock (Dame Shirley), Davóne Tines (Ned Peters), J'Nai Bridges (Josefa Segovia), Ryan McKinny (Clarence King), Paul Appleby (Joe Cannon), Hye Jung Lee (Ah Sing), Elliot Madore (Ramón), Lorena Feijóo (Lola Montez) diretti da Grant Gershon. Si replica fino al 10 dicembre.