È dedicata alle oltre 15 mila vittime del disastroso terremoto del Tohoku del 2011 e allo tsunami che ne seguì l’ultima opera, la quarta, di Toshio Hosokawa, giapponese di Hiroshima, andata in scena con meritato successo all’Opera di Stato di Amburgo. Un evento tragico che causò, fra le altre sciagurate conseguenze, il disastro della centrale nucleare di Fukushima destinato a produrre ancora numerose vittime nei decenni a venire. Non è però la grandiosità tragica della catastrofe epocale il centro di “Stilles Meer” (Mare calmo) ma il dramma di una donna, la tedesca Claudia, che in quella tragedia perde il compagno giapponese Takashi ma soprattutto il figlio Max, alla cui morte la donna non si rassegna. Nonostante gli sforzi dell’ex compagno Stephan, padre di Max, e di Haruko, sorella di Takashi, per convincere Claudia a accettare la realtà, la donna insiste in un pervicace rifiuto che rimanda (con citazioni fin troppo esplicite e insistite nel libretto di Oriza Hirata) a quello della folle protagonista del Noh “Sumidagawa”, già fonte di ispirazione per la parabola britteniana del “Curlew River”. Ambientata in un villaggio in riva al mare, non lontano da Fukushima, l’opera di Hosokawa è fatta di quel mare immenso, minaccioso e impietoso che lacera esistenze, restituisce brandelli di corpi ma anche inghiotte per sempre vite e affetti. Racchiuso fra le due “catastrofi” (quella naturale dell’inizio e quella psichica della presunta agnizione di Claudia) di violenti ensemble di percussioni, il respiro del mare è una presenza costante nella raffinatissima partitura di Hosokawa, miracolosa sintesi di tradizione orientale, che si coglie nel nervoso cantare del flauto e nella liquida sonorità dei frequenti soli dell’arpa, combinata con la sapientissima trama sonora specie degli archi che rimanda all’opulenza sonora di Ravel. Davvero eccezionale la prova dell’Orchestra filarmonica di Amburgo guidata da Kent Nagano in totale sintonia con il mondo sonoro di Hosokawa. Difficile immaginare una simbiosi artisticamente più fertile. Distribuzione vocale senza smagliature, con tre protagonisti d’eccezione: la soprano Susanne Elmark, il controtenore Bejun Mehta e il mezzosoprano Mihoko Fujimura, che scavano nei rispettivi ruoli trovando accenti di toccante umanità. Significativa la prova dei Vokalsolisten di Amburgo guidati dalla perizia di Eberhard Friedrich. Il team creativo, quasi interamente giapponese, firma una spettacolo tanto minimalista nell’uso dei mezzi scenici quanto intenso sul piano della resa drammatica. Se il regista Oriza Hirata avesse usato la stessa parsimonia nel comporre il libretto, evitando più di una sbavatura didascalica, si potrebbe parlare di capolavoro. Il risultato è comunque eccezionale ed è salutato da oltre 10 minuti di applausi e chiamate.
Note: Prima rappresentazione assoluta. Commissione dell’Opera di Stato di Amburgo con il sostegno della Ernst von Siemens Musikstiftung e della Stiftung zur Förderung der Hamburgischen Staatsoper. Produzione realizzata in cooperazione con la Tokyo University of the Arts. Date rappresentazioni: 24, 27, 30 gennaio, 9, 13 febbraio 2016.
Interpreti: Susanne Elmark (Claudia), Mihoko Fujimura (Haruko), Bejun Mehta (Stephan), Viktor Rud (Hiroto), Marek Gasztecki (Taro Sakamoto, un pescatore)
Regia: Oriza Hirata
Scene: Itaru Sugiyama
Costumi: Aya Masakane
Orchestra: Philharmonisches Staatsorchester Hamburg
Direttore: Kent Nagano
Coro: Vokalsolisten Hamburg
Maestro Coro: Eberhard Friedrich
Luci: Daniel Levy