Conigli, tartarughe, dee bendate armate di pistola, pomi che cadono: basterebbe il solo prologo del Ritorno d’Ulisse in patria così come pensato da Bob Wilson (e dalla sua lunga schiera di collaboratori) per dare l’idea del complesso materiale simbolico che anima la sua straordinaria visionarietà. Un po’ come per i film di David Lynch, anche Wilson ha un suo campionario fisso di ruoli e segni, di un mondo che parla al pubblico attraverso la luce che tutto crea e tutto distrugge. Non è facile stargli dietro, né forse cercare di decodificare ogni immagine è ciò che importa: siamo tutti (dei, eroi, cantanti, pubblico sbadigliante) uomini di una Storia in continua evoluzione, fragili come un grosso bicchiere di champagne e un vecchio canuto e spaventato.
È impossibile parlar male di una regia di questo tipo: troppo bello il lavoro sulle scene, troppo spazio lasciato alla musica e alla parola perché possa realmente dare fastidio. Però quando si legge nelle note di regia che l’opera «appartiene alla categoria del teatro epico» si ha l’impressione che qualcosa non vada: e non tanto perché Brecht non apprezzerebbe; ma perché in quella lontana sera del 1640, nel Carnevale veneziano recitavano comici dell’arte, in piccoli spazi, dove la musica (nel senso moderno del termine) era una delle tante componenti. Lo sa benissimo Rinaldo Alessandrini, che concerta il gruppo di continuisti con meravigliosa varietà; lo sa bene Fulvio Zanasi, Ulisse senescente anche nella voce, ma capace di muovere l’affetto anche dell’ultimo ascoltatore in fondo alla sala; lo sa Gianpaolo Fagotto alle prese con la pancia di Iro, unico della compagnia a non essere costretto a stare immobile per tutto il tempo e capace di essere sboccato tanto quanto dev’esser stato l’istrione venuto dalla piazza dell’epoca di Monteverdi. Alla fine, più che celebrare il ritorno alla Scala del capolavoro di Monteverdi (sempre che sia suo), è sembrato che si celebrasse l’arte di Bob Wilson.
Interpreti: L’humana fragilità / Primo Feacio: Andrea Arrivabene; Il Tempo / Nettuno: Luigi De Donato; La Fortuna / Melanto: Monica Bacelli; Amore / Minerva: Anna Maria Panzarella; Penelope: Sara Mingardo; Ericlea: Marianna Pizzolato; Eurimaco / Secondo Feacio: Mirko Guadagnini; Giove / Anfinomo: Emanuele D’Aguanno; Terzo Feacio / Antinoo: Salvo Vitale; Ulisse: Furio Zanasi; Eumete: Luca Dordolo; Iro: Gianpaolo Fagotto; Telemaco: Leonardo Cortellazzi; Pisandro: Krystian Adam; Giunone: Raffaella Milanesi.
Regia: Robert Wilson
Scene: Robert Wilson e Serge von Arx
Costumi: Jacques Reynaud
Orchestra: Orchestra del Teatro alla Scala (basso continuo dal gruppo Concerto Italiano)
Direttore: Rinaldo Alessandrini
Coro: Coro del Teatro alla Scala
Maestro Coro: Bruno Casoni
Luci: Robert Wilson e A. J. Weissbard
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