Melologo sì, melologo no
A MiTo una nuova composizione di Fabio Vacchi su testo di Amos Oz
Recensione
classica
Non era possibile non esserci. Non c’è milanese che si definisca tale che possa mancare un concerto dedicate a musiche di Fabio Vacchi: la società civile ‘che conta’ ha dei rituali fissi: è un fenomeno antropologico interessantissimo, che meriterebbe di essere studiato più a fondo, ma che rischia di far perdere di vista il contenuto, ossia la musica. Nel caso di Vacchi, l’impegno a non voler sembrare impegnati – per chi come me è nato negli anni della caduta del muro, più o meno – è incomprensibile, non essendo stati sottoposti a torture acustiche in nome dell’ideologia.
La premessa è doverosa per comprendere il trionfo che ha accolto Fabio Vacchi, Amos Oz, Moni Ovadia e Michele Serra alla fine dell’esecuzione del melologo “D’un tratto nel folto del bosco”: il testo di Oz, riadattato da Michele Serra per essere letto da Moni Ovadia, è una fiaba dai contorni oscuri a cui Vacchi ha giustapposto un’ora e un quarto di musica pressoché ininterrotta, eseguita dall’ensemble Sentieri Selvaggi guidati da Carlo Boccadoro. E già qui ci sarebbe qualcosa da contestare: questo, infatti, non è un melologo. Al contrario di altri lavori dello stesso Vacchi, qui un solo attore (anzi, una voce recitante) legge un testo che sarà sì a tempo sulla musica, ma con la quale interagisce rarissime volte e in cui è del tutto assente una drammaturgia specifica. In sostanza, il concetto chiave del melologo (cioè l’interazione di una doppia drammaturgia: musicale e scenica) è sbilanciato a sfavore del testo, reso teatralmente a grado zero: difficile giudicare, quindi, una musica scritta indubbiamente benissimo, con alcuni momenti davvero memorabili (strepitosi i colpi di lingua per clarinetto basso), ma che difficilmente si stagliano per impatto teatrale.
Interpreti: Moni Ovadia, voce recitante
Orchestra: Sentieri Selvaggi Ensemble
Direttore: Carlo Boccadoro
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