Placebo, la medicina
Al festival torinese Colonia Sonora la rock band inglese di Brian Molko
Recensione
classica
Collegno, vicino a Torino. Qui c'era il manicomio: qui, noi ragazzi del Settantasette, siamo venuti a vedere cosa restava del lager chiuso dalla legge Basaglia. Nella Certosa Reale, cadente spettrale come una architettura industriale londinese, c'è un festival rock dell'estate italiana: Colonia Sonora. E stasera ci sono i Placebo (tour europeo intorno al nuovo disco "Meds" Virgin Emi 0094635606324). Londinesi, ma figli di mezzo mondo. Brian Molko ha una voce nasale e di robusta, cinica disperazione. Si trucca il faccino in modo androgino (la sessualità multilaterale come ovvio diritto). Si muove sul palco con virile mollezza, scatta e si affloscia con un carisma che a volte ricorda Jim Morrison, anche perché le ballads dei Placebo hanno una analoga allucinata isterica disperata narrazione di precipizi giovani, di rifiuti di vivere: droga, sesso con improbabile seguito di amore, orizzonti nulli, buio oltre la siepe e di qua della siepe, pillole, medicine che buttano giù perché star bene è insopportabile: bene per cosa? Le loro schitarrate, i loro muri di disagio ancora oggi, a più di dieci anni dalla benedizione di David Bowie (mica a caso), sono un concerto di un'ora e mezzo per più di 5.000 persone a 17 euro each. Sono glam? Mah. Si ripetono? Embè? è stile. Vendono un milione e mezzo di copie quindi sono robaccia? Ma basta! La fragilità che raccontano, lo sgomento per un farmaco dimenticato, le mattine con gli occhi gonfi per notti mal dormite, la meditazione sul cocktail amoroso fatto di dolore, vendetta, confusione, dipendenza, violenza corporale serve a tutti quelli che nella notte piangono, ascoltandoli a pochi metri, mentre loro si permettono l'ultimo vero gesto di sovversione oggi permesso a una rock band: fumare sigarette mentre graffiano le corde delle loro chitarre.
Interpreti: Placebo live
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