Il rock non è finito

Heineken Jammin' Festival è nato nel 1998, e l'ha battezzato il più rock e smodato dei cantautori italiani, Vasco Rossi. Ora è un festival gigantesco, piazzato nella comunque suggestiva e comunque bene attrezzata realtà dell'autodromo di Imola, una tre giorni in cui sul palco si sono alternati lo scorso week-end tra gli altri Fatboy Slim, Massive Attack, The Cure, Ben Harper, Pixies, PJ Harvey, Lenny Kravitz, Articolo 31 e Caparezza.

Recensione
classica
Heineken Jammin'Festival Imola
19 Giugno 2004
Certo, invecchiando è sempre più dura scavalcare i poveracci sbronzi, le bottiglie rotte, le lattine taglienti, i bagarini roman-napoletani, le lunghe teorie di maleodoranti equivoci hot dog e "piadine romagnole", le ore e ore di coda in auto, i parcheggi su un prato con 68 euro di multa del poco groovin' vigile urbano emiliano, ma quando entri nell'arena piena di decine di migliaia di ragazzi (anche quarantenni!) che da tante parti vennero a volgere i loro sensi sotto un palco immenso, tecnologicamente ammirevole, ecco, capisci che il rock non è morto. Heineken Jammin' Festival è nato nel 1998, e l'ha battezzato il più rock e smodato dei cantautori italiani, Vasco Rossi. Ora è un festival gigantesco, piazzato nella comunque suggestiva e comunque bene attrezzata realtà dell'autodromo di Imola (quando cammini sulla griglia di partenza dove bollivano Schumacher e Barrichello pochi mesi fa la cosa si fa ancor più sensoriale), una tre giorni in cui sul palco si sono alternati lo scorso week-end tra gli altri Fatboy Slim, Massive Attack, The Cure, Ben Harper, Pixies, PJ Harvey, Lenny Kravitz, Articolo 31 e Caparezza. Tre mega schermi di una regia televisiva interna Euphon amplificavano il dettaglio: il volto emotivo del cantante, le dita del chitarrista, introducendo un perverso "doppio" mediatico del live, fondamentale nelle ore di performance con luce diurna, opzionale nelle ore serali: un avvicinamento documentario che insinua una distanza emotiva e audiovisiva dall'impatto inimitabile della fisicità del concerto. Che un grande evento rock sia bene organizzato vuol dire che è possibile fare in modo che la esplosiva insostituibile liberazione sensoriale del rock sia irradiata nel corpo di chi ascolta dal corpo di chi suona, e non nel disagio del consumatore che acquista per 32,00 euro al giorno il suo biglietto. Le stesse star salgono a Imola sul palco con manageriale puntualità, ma si lasciano ancora cacciare sorridenti e espansivi – come Ben Harper – da professionals travestiti da fans (o fans travestiti da professionals) nelle aree protette del festival, tra una abbandonata limousine bianca e un albergo-bus pronto a portare il sacerdote africanamerican a un altro altare rock, dove predicare che "con le nostre sole mani possiamo provare ancora un'altra strada".

Interpreti: Ben Harper, The Cure

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