Si fa presto a dire sopranista
Soprano o sporanista che sia, il ventiseienne moldavo Radu Marian si procalam erede degli "evirati cantori"
Recensione
classica
Radu Marian è definito in locandina "sopranista". Le note biografiche iniziano così: "Per uno straordinario caso della natura è probabilmente l'unico artista del nostro tempo a essere dotato di una voce di soprano".
Dunque: sopranista o soprano? È vero che in questo campo la terminologia è piuttosto fluttuante, ma soprano dovrebbe essere chi, uomo o donna, canta in tale registro vocale con voce "naturale", mentre sopranista è chi raggiunge tale registro usando particolari artifici, cioè un falsettone o una tecnica mista di suoni naturali e falsetto. Marian nel registro medio sembra avere una voce naturale di soprano, anzi una vocina, dolce ma esile e povera di armonici, che non usa le risonanze basse, quasi la voce d'una bambina. Nell'estremo registro acuto, che saggiamente tocca solo in alcune brevissime variazioni, la voce cambia completamente e le note sono filiformi e pungenti come spilli. Diciamo pure che la prima impressione non è favorevole, ma poi l'orecchio gradualmente si abitua a questo timbro così inconsueto e anzi comincia a gustarne la magica irrealtà, che era esattamente quello che il gusto barocco trovava negli "evirati cantori". È improbabile che questo ventiseienne moldavo avrebbe potuto competere con Farinelli o Senesino, ma bisogna prendere questo tipo di voci come l'equivalente del "rigatino", usato nei restauri moderni per ricostruire le parti perdute d'un affresco con colori più tenui, per darne un'idea complessiva, senza pretendere di ricreare esattamente l'originale.
Il problema, nel caso di Marian, non è tanto che la voce non è quella degli evirati di cui si proclama erede ma che l'esecuzione è un po' rigida, da abatino più che da "virtuoso" nel senso antico. Questo limite è particolarmente percepibile in Haendel, a causa della sua costruzione ampia e del suo stile "affettuoso". Invece in Broschi e in Vivaldi, dove le frasi sono più brevi e inanellano una serie di idee gradevoli e già "galanti", riesce a dare l'idea del piacere edonistico della voce e dell'ebbrezza virtuosistisca, che sono due caratteristiche fondamentali del canto settecentesco.
Marian aveva accanto a sé un piccolo ma lussuoso ensemble, formato da tre di quegli strumentisti "antichi" italiani che sono sicuramente più noti e apprezzati all'estero che in patria: il violinista Giorgio Sasso, il gambista Bruno Re e il clavicembalista Salvatore Carchiolo, che hanno anche eseguito due Sonate di Haendel e di Geminiani con la raffinata eleganza e la millimetrica precisione olandesi più che con l'estro e il furore italiani.
Sala piena - non pienissima, come il "fenomeno" Marian avrebbe fatto sperare - ma plaudente. Un bis haendeliano: la celeberrima "Lascia ch'io pianga".
Note: Musiche di Broschi, Geminiani, Haendel, Vivaldi
Interpreti: Radu Marian (sopranista) Giorgio Sasso (violino), Bruno Re (viola da gamba), Salvatore Carchiolo (clavicembalo)
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