La seria normalità del Prigioniero

Il dittico Prigioniero e Edipo re al Teatro Regio di Torino nella messa in scena essenziale di Fabio Sparvoli e con la direzione musicale efficiente di Yoram David. Un accostamento, questo tra Luigi Dallapiccola e Ruggero Leoncavallo, di evidente sproporzione stilistica e concettuale, legato soltanto dalla rarità esecutiva delle due opere accomunate nell'ottica di un tributo alla cultura. Ma Dallapiccola, per forza drammatica e profondità artistica, è ben altro. Una compagnia di canto solida e generosa, nella quale spicca il carisma di Renato Bruson, acclamato protagonista nel dramma annacquato di Leoncavallo.

Recensione
classica
Teatro Regio Torino
Luigi Dallapiccola
15 Maggio 2002
Ho fatto un sogno. Ascoltare il Prigioniero di Dallapiccola diretto da Claudio Abbado, con Jessye Norman nella parte della Madre, Thomas Hampson in quella del titolo e il giovane Domingo come Carceriere: regia di Ingmar Bergman (pochi sanno che gli fu proposto dalla televisione svedese, e lui fu lì lì per accettare). Ecco che il Prigioniero ci apparirebbe per quello che è: un capolavoro assoluto del teatro musicale di tutti i tempi, il Fidelio del Novecento, un'opera che meriterebbe di entrare in pianta stabile nel repertorio. Se invece nel repertorio appena vivacchia, ed è comunque grasso che cola rispetto alle altre opere di Dallapiccola (tutte però inferiori), ciò dipende in larga misura dal fatto che nelle esecuzioni ci si accontenta, con la scusa sottintesa che si tratta di un'operazione anzitutto culturale. Falso: il Prigioniero è un'opera teatrale di presa immediata, comunicativa al massimo nonostante l'impervio linguaggio, geniale nella sua drammaturgia da thriller, addirittura piena di invenzioni melodiche (arie?) memorabili ("Fratello, spera..."; "Signore, aiutami a camminare"; la ballata "Sull'Oceano, sulla Schelda"), capaci, mutatis mutandis, di imprimersi nella memoria dell'immaginario melodrammatico al pari di La donna è mobile o Che gelida manina. Solo che per rivelarsi come tale ha bisogno d'interpreti d'eccezione, proprio come una qualsiasi opera del grande repertorio. Quella proposta dal Teatro Regio di Torino era invece la solita, normale buona esecuzione, che dunque lasciava le cose al punto in cui stanno: appunto una nobile operazione culturale, fra l'altro in anticipo (onore al merito) rispetto al centenario dallapiccoliano, che cadrà nel 2004. Un direttore, Yoram David, efficiente ma non particolarmente ispirato (che aveva l'aria di non crederci molto, nel capolavoro), una compagnia di canto di onesti professionisti (Carmelo Corrado Caruso, nel ruolo del protagonista, un po' indeciso sullo stile da adottare), una regia semplice e funzionale, attenta in primo luogo ad assecondare la vicenda con in aggiunta qualche buona idea di effetti di luce (questi ultimi di Franco Marri; il resto facente capo a Fabio Sparvoli). A me ad ogni modo questa esecuzione, nella sua seria normalità, è piaciuta, mentre credo che la maggior parte del pubblico l'abbia ascoltata ritenendo di pagar pegno alla cultura, anziché trovare il modo di parteciparvi con passione. Il difetto principale del Prigioniero sta soprattutto nel fatto che è un atto unico e non fa serata (dura infatti, necessariamente, appena cinquanta minuti) e che dunque si richiede un abbinamento. E qui sembra che per renderlo presentabile occorra accostarlo a un'opera diciamo così popolare: popolare ovvero di linguaggio facile almeno nelle sembianze. E' un errore: il Prigioniero perde tutto il suo significato qualora venga preceduto o seguito da un lavoro che non sia di pari altezza intellettuale e spirituale, che non viva nella stessa aura ideale. Non è dunque questione di qualità, ma appunto di tono: un modello alto richiede un altro modello alto. La scelta del Regio (la prima ripresa moderna dell'Edipo re di Ruggero Leoncavallo) era astuta, giacché salvava apparentemente capra e cavoli (un'altra operazione culturale, ma di ben altro segno), per rivelarsi però a conti fatti fuorviante: una sorta di ritorno nell'alveo dell'abbordabile e del commestibile, anche nella messa in scena elementare di Sparvoli. Diciamo la verità: nonostante il mestiere del musicista (indubbiamente notevole), quest'altro atto unico di Leoncavallo-Forzano è un prodotto dell'Italietta provinciale primonovecentesca, di chiusure sotto certi aspetti addirittura imbarazzanti, ossia l'esatto contrario della dimensione internazionale e aperta di Dallapiccola. Sentire un baritono sfogare in romanze d'impronta verista, o come la si voglia chiamare, senza alcuna idea di grandezza epica o di ironia tragica, il suo sconcerto di fronte a eventi di portata ben diversamente emblematica (Edipo re!), fa male al cuore e alla mente. Ma non evidentemente alle orecchie. Giacché qui l'interprete d'eccezione (almeno per chiara fama) c'è, e si chiama Renato Bruson: in perenne bisticcio con il solfeggio e con l'intonazione, è vero, ma comunque in grado di dare al personaggio monolitico del protagonista carisma e spessore, insomma un suo proprio riconoscibile formato. E dunque di conseguenza applausi a non finire. Dirigeva ancora Yoram David, chiaramente assai più a suo agio nelle esteriori perorazioni orchestrali di Leoncavallo che nelle raffinate filigrane di Dallapiccola, e cantavano, come in Dallapiccola, Raffaella Angeletti (là la Madre, qui Giocasta), Ezio Di Cesare (prima il Carceriere, poi Creonte) e, come Tiresia, il basso Alfredo Zanazzo. Vale anche per loro lo stesso discorso: più spigliati e in ruolo nella seconda parte. Sicché viene da pensare che queste voci siano state scelte prima per Leoncavallo, poi per Dallapiccola: il che confermerebbe un andazzo generale nell'attenzione specifica alla vocalità. Resta da dire della prova, ancora una volta maiuscola, del coro di Bruno Casoni: tra i tanti pezzi che il Teatro Regio ha ultimamente perso per strada, quella di Casoni è una perdita irreparabile.

Note: nuovo all.

Interpreti: Raffaella Angeletti, Carmelo Corrado Caruso, Ezio Di Cesare, Alessandro Cosentino, Carlo Morini  

Regia: Fabio Sparvoli

Scene: Giorgio Ricchelli

Costumi: Alessandra Torella

Orchestra: Orchestra del Teatro Regio

Direttore: Yoram David

Coro: Coro del Teatro Regio

Maestro Coro: Bruno Casoni

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