La pietra non regge sempre il paragone
Recensione
classica
Architettura razionalista, grandi vetrate, quadri di Burri alle pareti, piscina, campo da tennis, macchine per body-building, parco con pini talmente alti che non se ne vede la cima: questa è la villa del Conte Asdrubale, padrone di casa e protagonista de La pietra del paragone. Con questo sorprendente e divertente impianto scenico, Pier Luigi Pizzi non solo è riuscito a far stare insieme nell'enorme palcoscenico del Palafestival (cioè dell'ex palazzo dello sport) tutti gli ambienti previsti dal libretto, che altrimenti avrebbero richiesto continui cambiamenti di scena e una frammentazione eccessiva dell'azione, ma ha anche fatto tutto il possibile per rendere più attuale e pepata una storia tutt'altro che appassionante. Anzi, non si tratta nemmeno di una storia ma di un marchingegno teatrale pensato unicamente come pretesto per una serie di scene tipiche dell'opera buffa, spesso vecchie e usurate già all'epoca, nel 1812: al ventenne Rossini tocca il non facile compito di rivitalizzare con la sua musica quei luoghi comuni, cosa che qualche volta gli riesce alla grande e qualche volta un po' meno. Si sa che nell'opera italiana, quando i due piatti della bilancia oscillano in incerto equilibrio, diventa determinante l'apporto dei cantanti: succede così che l'aria di Pacuvio (ufficialmente un poeta ma in realtà una mezza calzetta e come tale conciato da Pizzi con pantaloni corti, sandali e calzini) e quella di Macrobio (caricatura convenzionale ma sempre attuale d'un presuntuoso, venale e arrogante ma anche pavido giornalista) siano i soli due pezzi veramente divertenti dei venti di questo "melodramma giocoso", grazie alla diversissima ma egualmente irresistibile vis musicale e scenica di Bruno De Simone e Pietro Spagnoli. La controprova la fornisce il terzetto del duello, che naturalmente si trasforma in farsa: sarebbe risultato piatto e scontato, se a vivacizzarlo non ci avesse di nuovo pensato Spagnoli, oltre a Pizzi, che alla fine improvvisa una passerella dei tre personaggi che impugnano le armi come strumenti musicali, maracas, violino e chitarra. Allora viene anche da pensare che qualche altra idea ironica e divertente da parte del regista non avrebbe affatto guastato. Invece Marco Vinco (Conte Asdrubale), un giovane che abbiamo visto molto più disinvolto in altre occasioni, questa volta era poco centrato non solo vocalmente ma anche scenicamente, perché la regia, oltre a farlo apparire ora seminudo in mutande e ora ingessato in smoking, non l'ha aiutato a creare un personaggio. Raul Gimenez (Cavalier Giocondo), che solo pochi giorni fa abbiamo ascoltato in Mozart come perfetto Don Ottavio, è apparso non totalmente a suo agio nei vertiginosi scioglilingua e nelle veloci agilità di Rossini. Carmen Oprisanu (Marchesa Clarice) era elegantissima nella dozzina di abiti di grandi stilisti del 1960 circa che Pizzi le fa indossare ma non brillante e maliziosa come Rossini l'avrebbe voluta; invece quando deve travestirsi da ufficialetto è perfetta. Sono solo piccole mende di uno spettacolo di alto classe, applaudito con generosità dal pubblico, che però ha fischiato ingenerosamente il direttore, Carlo Rizzi, che aveva solo una parte di responsabilità se La pietra del paragone è apparsa un po' troppo lunga, perché i tempi erano giusti, e se mancavano i coloriti, perché bisogna tener conto dei limiti dell'Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, che ha strumentini che non riescono a dare incisività e brillantezza ai loro interventi e corni al limite dell'accettabile.
Note: Nuova produzione
Interpreti: Oprisanu, Bicciré, Gimenez, De Simone, Vinco, Spagnoli, Machej
Regia: Pier Luigi Pizzi
Scene: Pier Luigi Pizzi
Costumi: Pier Luigi Pizzi
Orchestra: Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Direttore: Carlo Rizzi
Coro: Coro da Camera di Praga
Maestro Coro: Lubomír Mátl
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