Il festival di Spoleto festeggia i novant'anni di Menotti
Il pubblico applaude con affetto Menotti ma la sua "The Saint of Bleecker Street" appare datata
Recensione
classica
Gian Carlo Menotti compie novant'anni e lo Spoleto Festival, da lui fondato quarantaquattro anni fa, ha deciso di dedicargli la serata d'apertura, scegliendo una sua opera del 1954, "The Saint of Bleecker Street". E l'affezionato pubblico del festival gli ha espresso i suoi auguri scoppiando in applausi affettuosissimi quando alla fine è comparso alla ribalta insieme agli interpreti. Non meritava nulla di meno per tutto quello che negli anni passati ha fatto per Spoleto e per il suo festival! Però, a costo di passare per guastafeste, bisogna dire che "The Saint of Bleecker Street" porta i propri anni meno bene del suo autore. Il suo tema è (dovrebbe essere) la lotta tra il miracolo della fede e la logica della ragione, incarnati rispettivamente da una giovane italo-americana - la "santa" del titolo - e da suo fratello, che la ama in modo possessivo e vorrebbe impedirle d'entrare in convento. Ma Menotti non riesce a reprimere il suo amore per il bozzettismo e non va oltre la descrizione della vita d'una piccola comunità d'emigrati italiani di cinquant'anni fa, servendosi d'un lessico da opera verista, per cui i momenti culminanti coincidono sempre con l'acuto del soprano o del tenore. Ma c'è anche altro, molto altro: si riconosce tanto Puccini (la Santa, che ricorda non tanto Suor Angelica quanto Mimì per il carattere e Cio-Cio-San per la vocalità) ma anche tanto Musorgskij (la violenza e la superstizione della folla) e ci sono perfino cori a cappella alla Palestrina. Nonostante l'abilità di Menotti nel maneggiare i suoi materiali, tutti questi elementi eterogenei non collimano perfettamente e danno vita a una serie di episodi più o meno riusciti. Così, quando Don Marco attacca i suoi pistolotti, in teatro si spande una nebbia soporifera, ma subito dopo l'attenzione viene risvegliata da dialoghi resi con un recitativo molto flessibile e dinamico. E, se il finale del secondo atto sembra un condensato di "Cavalleria" e "Pagliacci", con quella coltellata mortale vibrata dal protagonista alla sua amante in mezzo alla gente, subito dopo l'inizio del terzo, ambientato in una stazione della metropolitana, fa sentire l'aria viziata e la pulsazione angosciosa della vita d'una moderna metropoli. Menotti ha dato personalmente una mano a questa festa in suo onore, incaricandosi della regia (per le scene e i costumi ha voluto quelli da lui stesso commissionati nel 1968 a Zack Brown per il festival di Charleston) con una attenzione alla naturalezza e alla verosimiglianza d'ogni dettaglio degna d'un film neoralista. Aveva a sua disposizione un gruppo di ottimi cantanti-attori. Perfetta l'Annina (la "santa") di Julia Mezlinek, mentre la parte di Michele, suo fratello, avrebbe voluto una voce più potente e squillante di quella di Timothy Richards, ma in tal modo erano attenuati quei momenti d'enfasi verista che costituiscono l'aspetto più datato dell'opera. Da segnalare anche l'affascinante Desideria (con questo nome non poteva che essere una donna "perduta"!) di Pamela Helen Stephen e il Don Marco di John Marcus Bindel. Ottima la direzione di Richard Hickox.
Note: prima italiana della versione in lingua originale inglese
Interpreti: Melinek, Richards, Stephen, Bindel, Zeltzer, Farrugia, Howard, Rozynko
Regia: Gian Carlo Menotti
Scene: Zack Brown
Costumi: Zack Brown
Orchestra: Spoleto Festival Orchestra
Direttore: Richerd Hickox
Coro: Spoleto Festival Choir
Maestro Coro: Donald Nally
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