Faust nostro contemporaneo

Riflessioni sul lavoro di Andrea Liberovici

Recensione
classica
«Ciò che il Faust dovrebbe contenere di ripugnante, di sconvolgente, di terribile, è troppo contrario al nostro tempo. Questa musica dovrebbe essere sul genere di quella del "Don Giovanni". E' Mozart che avrebbe potuto comporre il Faust...». Goethe rispondeva così a chi gli chiedeva se fosse stato possibile trasporre in musica il suo “Faust”. In effetti “Faust” è un’opera così profonda, “incommensurabile” da far tremare chiunque abbia il coraggio di avvicinarvisi. Ciononostante ha esercitato un fascino incredibile sui musicisti, da Gounod a Berlioz, da Boito a Busoni; tutti attratti da un mito che, in quanto tale, non ha età, non appartiene a un periodo storico, ma è atemporale, incarnando di volta in volta uomini e caratteri diversi. E che sia “contemporaneo” lo dimostra la frequenza con la quale si affaccia sui palcoscenici italiani e stranieri, non solo in una riproposizione di testi storici, ma anche nella attualità di una sua reinvenzione.

Si può a questo proposito citare lo spettacolo “Faust’s box” del quale Andrea Liberovici ha firmato testo, musica e regia e che il Teatro Stabile di Genova ha recentemente prodotto. Figlio d’arte, formatosi come compositore a Venezia e a Torino e come attore alla Scuola dello Stabile genovese, Liberovici ha affrontato il teatro da angolazioni diverse, collaborando spesso con personalità di rilievo come Edoardo Sanguineti. «Non c’è, sia chiaro – ha spiegato Liberovici – l’ambizione di una riscrittura del Faust goethiano. A me interessano le domande di fondo che un testo del genere pone. Chi è Faust oggi? Ho cominciato a interrogarmi dopo aver realizzato un “Ur-Faust” anni fa con Ugo Pagliai e la Gassman». Una ricerca che ha portato Liberovici a creare, tempo fa, “Mephisto’s songs” narrato da Bob Wilson e con la voce di Helga Davis, applaudito all’Apollo Theater di New York. Da lì il passaggio al nuovo spettacolo è stato breve.

“Faust’s box” è un viaggio nell’anima, nella mente di un Faust (o di un Mefistofele) di oggi, chiuso nella propria solitudine, dominato dalla tecnologia, condannato a rapporti unicamente virtuali. Solo al termine del viaggio, cadenzato da tredici “stazioni”, in un percorso tra il drammatico e l’ironico, le luci che illuminano parte del pubblico consentono a Faust di ritrovare un contatto fisico rispecchiandosi in altri volti umani. Liberovici costruisce il suo Faust facendo ricorso a svariati mezzi linguistici: la parola, il suono elettronico, la musica acustica, le proiezioni video, l’animazione grafica, la gestualità. Il tutto organizzato con una totale padronanza tecnica. Interessante la partitura musicale (articolata in tredici scene/movimenti) che mescola pop e “colto” con leggerezza e verve. E splendida la prova degli interpreti. Helga Davis è una cantante di straordinaria classe, domina la scena con notevole autorevolezza. Con lei il gruppo strumentale dell’Ars Nova Ensemble diretto dall’ineccepibile Philippe Nahon.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Jonas  di Carissimi e Vanitas  di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento

classica

Napoli: Dvorak apre il San Carlo

classica

Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.