Cronache dalla Valle d'Itria 3

Riscoprire Nicola De Giosa

Recensione
classica
Nato e a morto Bari, Nicola De Giosa (1819-1881) è il secondo compositore più importante di questa città dopo Niccolò Piccinni. Quando nel 1903 si costruì il Petruzzelli, qualcuno pensò di intitolargli il teatro (una cinquantina d’anni prima il Comunale era stato infatti intitolato a Piccinni). Prevalsero però le ragioni dei costruttori, e a Bari De Giosa è ricordato con una strada vicina al Petruzzelli. Essa è una mediana a scorrimento relativamente rapido per le automobili che giungono dall’altra parte della città, talmente rapido che i baresi non si chiedono nemmeno chi fu tal Nicola De Giosa. Quando nel 2005 il Petruzzelli annunciò di voler allestire il suo “Don Checco”, grande successo teatrale a Napoli del teatro Nuovo, tempio dell’opera buffa, andato in scena per un centinaio di repliche già nel 1850, si realizzò finalmente che De Giosa era un compositore. L’impresa però fallì, sebbene le scene fossero già pronte. La partitura revisionata da Lorenzo Fico fu allora messa da parte finché due anni fa l’Ico cittadina l’ha eseguita in forma di concerto, prima che il San Carlo decidesse di produrre lo spettacolo per la stagione 2013/2014 (con le belle scene di Nicola Rubertelli e la regia di Lorenzo Amato) in coproduzione col festival della Valle d’Iria.

Ecco dunque rientrato “Don Checco” in Puglia, in quel filone riservato ai compositori pugliesi che il Valle d’Itria ha coltivato indipendentemente dalle varie direzioni artistiche. Allievo di Donizetti, e avversato da Verdi, De Giosa è un conoscitore assoluto della macchina teatrale. L’opera è costruita secondo un meccanismo perfetto, e la veste sinfonica nobilita una musica tanto funzionale quanto semplice (sul podio dell’Orchestra internazionale d’Italia c’era Matteo Beltrami). Quando l’opera finisce esci da Palazzo Ducale con la piacevole sensazione di aver trascorso un’ora e quaranta di leggero intrattenimento: ragioni sufficienti a spiegare la fortuna di questo titolo passato alla storia come uno dei maggiori successi del teatro napoletano dell’Ottocento. Per questa coproduzione si è scelta la versione originale con gli intermezzi recitati in napoletano (l’opera girò molto in Italia e in alcuni paesi del Mediterraneo tradotta in italiano). Il ruolo di Don Checco, uno straccione perseguitato dalla sorte prima scambiato per il ricco feudatario del regno intorno, poi smascherato e infine perdonato, era stato pensato per Raffaele Casaccia, straordinario attore-cantante della compagnia del teatro Nuovo. A Martina il compito è stato affidato al baritono Domenico Colaianni, grande esperto del repertorio buffo, credibilissimo in ogni circostanza teatrale, anche nella celebre cavatina dell’opera (“Ah, ca lli diente abballano”), dove deve fingere di tremare dal freddo, coperto di lana, mentre a Martina anche la sera non soffia un alito di vento. Con lui ha trionfato il suo allievo, il giovane tenore Francesco Castoro, dalla carriera in grande ascesa.

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