A lezione dal dottor Muti
Laurea honoris causa all'Università di Torino
Recensione
classica
Per molti frequentatori di sale da concerto e teatri la figura del direttore d’orchestra continua a rappresentare qualcosa di magico e indefinibile: cosa fa
veramente? Ma esistono buone o cattive orchestre o buoni o cattivi direttori? E
poi, sembra così facile, come mettersi davanti alla radio e dirigere con una
matita in mano…Basterebbe permettere al pubblico di seguire una prova con un’
orchestra e il mistero svanirebbe. Di sicuro docenti e ospiti che venerdì
mattina gremivano l’Aula Magna dell’Università di Torino adesso hanno le idee
chiare su cosa fa un direttore d’orchestra.
Riccardo Muti, neo laureato in “Storia e critica delle culture musicali" (la
laurea honoris causa gli è stata conferita dalla Facoltà di Scienze della
Formazione dell’Università di Torino e nell’occasione ha anche ricevuto il
Premio Arca d’oro 2011) ha scelto di non tenere la consueta lectio magistralis
ma di fare una prova aperta, lì, nell’Aula Magna, con l’Orchestra dei Talenti
Musicali della Fondazione Crt: un quarto d’ora di chiacchierata a ruota libera
e 45 minuti di prova con un’orchestra che non aveva mai incontrato prima per
smontare e rimontare il primo movimento della Sinfonia n. 34 K338 di Mozart.
“Ragazzi voi avete davanti a voi un prodotto italiano, io sono molto fiero di essere italiano e lo dico con orgoglio in questa meravigliosa università: sono un figlio della cultura italiana che da più di 40 anni si batte, con risultati piuttosto scarsi, per la nostra cultura! Risultati scarsi per colpa della sordità dei nostri uomini politici e parlo di varie generazioni di uomini politici! Siamo un grande Paese, io credo nella cultura e nella forza di questo Paese. L’Italia ha insegnato la musica a tutto il mondo: abbiamo dato il nome alle note, abbiamo fatto nascere l’opera, abbiamo avuto Stradivari, grandi compositori…sono cose che non si possono dimenticare. Non riconoscere le proprie origini vuol dire ucciderle e consegnarci ai barbari” esordisce Muti, ma c’è anche spazio per l’ironia “Oggi il termine maestro è un po’ come il dottore con il quale ti apostrofano i parcheggiatori napoletani: diventiamo tutti o dottori o maestri! Ma c’è una cosa che mi piace nel termine maestro, è che deriva dal latino magis che vuol dire di più, mi sbaglio o ministro ha come radice minus?”. Quella strana alchimia che nasce tra direttore e orchestra è frutto dei primi cinque minuti d’incontro, spiega Muti: “In quei primi cinque minuti loro capiscono chi sono io, io capisco chi sono loro. Certo, tutto comincia con un direttore che arriva e i musicisti che si alzano in piedi: ipocriti, mica è arrivato il Generale! È che poi uno comincia a dirigere e quelli che un attimo prima erano in piedi a salutarti sono già lì che si dicono a mezza voce ‘quello non capisce niente!'”. E la prova ha inizio: prima li ascolta suonare, poi comincia a farli riflettere sul suono che nasce dal silenzio, su come devono impugnare l’archetto, su quella frase che è un po’ “moscia”, sul quel ritmo che deve essere più militare, su cosa significhi quella variazione, sull’effetto sorpresa voluto da Mozart… in mezzo c’è ancora spazio per qualche battuta (“Non esagerate, non fate nulla di pulcinellesco”, “Lo diceva il mio amico Carlos Kleiber che le orchestre non vanno disturbate troppo”, “Mi sa che alla fine della prova la laurea me la tolgono!”) e poi alla fine della prova fa risuonare i primi cinque minuti della sinfonia e dopo si gira verso la platea: “È diverso da prima? Dovete solo dire di sì!”. E il dottor Muti esce tra gli applausi.
“Ragazzi voi avete davanti a voi un prodotto italiano, io sono molto fiero di essere italiano e lo dico con orgoglio in questa meravigliosa università: sono un figlio della cultura italiana che da più di 40 anni si batte, con risultati piuttosto scarsi, per la nostra cultura! Risultati scarsi per colpa della sordità dei nostri uomini politici e parlo di varie generazioni di uomini politici! Siamo un grande Paese, io credo nella cultura e nella forza di questo Paese. L’Italia ha insegnato la musica a tutto il mondo: abbiamo dato il nome alle note, abbiamo fatto nascere l’opera, abbiamo avuto Stradivari, grandi compositori…sono cose che non si possono dimenticare. Non riconoscere le proprie origini vuol dire ucciderle e consegnarci ai barbari” esordisce Muti, ma c’è anche spazio per l’ironia “Oggi il termine maestro è un po’ come il dottore con il quale ti apostrofano i parcheggiatori napoletani: diventiamo tutti o dottori o maestri! Ma c’è una cosa che mi piace nel termine maestro, è che deriva dal latino magis che vuol dire di più, mi sbaglio o ministro ha come radice minus?”. Quella strana alchimia che nasce tra direttore e orchestra è frutto dei primi cinque minuti d’incontro, spiega Muti: “In quei primi cinque minuti loro capiscono chi sono io, io capisco chi sono loro. Certo, tutto comincia con un direttore che arriva e i musicisti che si alzano in piedi: ipocriti, mica è arrivato il Generale! È che poi uno comincia a dirigere e quelli che un attimo prima erano in piedi a salutarti sono già lì che si dicono a mezza voce ‘quello non capisce niente!'”. E la prova ha inizio: prima li ascolta suonare, poi comincia a farli riflettere sul suono che nasce dal silenzio, su come devono impugnare l’archetto, su quella frase che è un po’ “moscia”, sul quel ritmo che deve essere più militare, su cosa significhi quella variazione, sull’effetto sorpresa voluto da Mozart… in mezzo c’è ancora spazio per qualche battuta (“Non esagerate, non fate nulla di pulcinellesco”, “Lo diceva il mio amico Carlos Kleiber che le orchestre non vanno disturbate troppo”, “Mi sa che alla fine della prova la laurea me la tolgono!”) e poi alla fine della prova fa risuonare i primi cinque minuti della sinfonia e dopo si gira verso la platea: “È diverso da prima? Dovete solo dire di sì!”. E il dottor Muti esce tra gli applausi.
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