Il 16 maggio va in scena alla Scala la nuova opera di Giorgio Battistelli, C02 , libera reinvenzione in un prologo, nove quadri e un epilogo dei temi ecologici di Una scomoda verità (An Inconvenient Truth) di Al Gore, sul podio Cornelius Meister. E' in realtà cosa recente l'inserimento di C02 , visto l'argomento, tra gli eventi di Expo 2015: sono anni (dal 2007, con un'originaria commissione per il 150° italiano del 2011) che Battistelli "cova" questa tappa del suo teatro (oramai oltre i trenta titoli), fra lavori nuovi e numerose riprese in particolare di Teorema e Riccardo III. Ed è proprio all'autore del testo del Riccardo III, Ian Burton, e al prestigio di Robert Carsen, che è affidata, dopo non pochi cambi di mano di librettisti e registi, questa C02 in cui si fondono miti antichi e scenari moderni. Ci sono Adamo, Eva e il Serpente, c'è Gaia, la madreterra, c'è nell'epilogo e nel prologo Shiva distruttore e rigeneratore, e poi gli arcangeli, un "balletto degli uragani", scienziati, ecologisti, burocrati in lite in una Babele moderna che contrasta con il greco antico e il sanscrito di altre scene, ci sono le casalinghe al supermercato che comprano verdure paradossalmente importate dagli antipodi... ne parliamo con il compositore, da poco nuovo direttore artistico dell'Opera di Roma in duo con Alessio Vlad.
C02 ha richiesto una sintesi poetica di idee che fa venire in mente altri episodi del teatro musicale contemporaneo, come Doctor Atomic di John Adams.
«In realtà non pensavo a questo. Per me è stato un ritorno a un momento personale e interiorizzato di impegno civile, per dare voce con i miei mezzi ai pericoli che l'umanità sta correndo. Il tutto senza moralismi e retorica, perché il teatro è un equilibrio delicato».
Dalla sequenza dei quadri si ricava l'idea di un robusto impianto drammaturgico legato dal filo conduttore della conferenza dell'inascoltato climatologo David Adamson ("figlio di Adamo"), che compone, con tanti archetipi e simboli, un racconto chiaro e ben orientato.
«Questo è il motivo per cui non ho avuto dubbi quando finalmente, in uno dei tanti e travagliati passaggi, l'allora sovrintendente alla Scala Lissner mi disse: "allora scegli tu", e ho scelto Ian Burton, che ha lavorato sempre su un nesso di collegamento fra una scena e l'altra».
Guardando i ruoli chiave di Adamson (Anthony Michaels-Moore), di Gaia (Jennifer Johnston), di Adamo (Sean Panikkar), Eva (Pumeza Matshikiza), il Serpente, un controtenore (David DQ Lee), troviamo tutti i colori della pelle e voci abituate a Verdi, Puccini, Mahler, Rossini, all'opera antica oltre che alla musica contemporanea.
«Sì, è vero, c'è un mio recupero a tutto tondo dell'interprete vocale. Credo del resto che la mia musica abbia una propria cantabilità intrinseca, messa in risalto da direttori come Muti e Pappano. Adamo ed Eva sono neri, nudi e bellissimi, come bellissimo è il Serpente. E non è un caso che Gaia, la madreterra, sia un contralto come Erda in Wagner».
La chiave compositiva principale ?
«La giustapposizione di caratteri musicali e organici diversi. Ad esempio, per il protocollo di Kyoto, undici minuti di musica a cappella con le delegazioni divise in cinque gruppi che parlano lingue diverse, per tematizzare il conflitto, e poi da questo si passa al quadro degli uragani, un grande balletto con un'orchestra di più di cento elementi. Invece, sonorità liquide e cangianti per avvolgere il dialogo con il mare della signora Mason, una turista inglese tornata sulla scena dello tsunami per gettare nelle acque una corona di fiori in ricordo del cognato morto. Ci sono anche spunti comici, come nel ritmo indiavolato della scena al supermarket con le cinquanta casalinghe».
Fatta salva la durata inferiore alle due ore, parrebbe una sorta di attualizzato Grand-Opéra...
«Io cerco la complicità dell'occhio, non dimentico mai che sto facendo uno spettacolo, che ogni situazione musicale ha il suo tempo di resistenza oltre il quale la scena viene compromessa. Bisogna sedurre il pubblico: su questo sono molto pucciniano e anche un po' wagneriano. Dal punto di vista strettamente musicale, nelle mie ultime opere ho messo a fuoco un percorso formulare che è la fonte da cui attingo e da cui ricavo i motivi e moduli che ricorrono anche qui, un sistema post-seriale oltre il tabù della ridondanza, che nasce dai rapporti basilari di quinta, quinta diminuita-quarta eccedente, seconda».