Yo La Tengo: musica per un mondo stupido
This Stupid World è il nuovo album del trio, baluardo dell’indie rock statunitense
In attività dal 1984 e da tre decenni nella formazione attuale, composta da Georgia Hubley, Ira Kaplan e James McNew, gli Yo La Tengo sono un’istituzione dell’indie rock statunitense decentrata a Hoboken: culla del baseball (il nome che si sono dati deriva dall’aneddotica di quello sport) e di Frank Sinatra.
È ambientata nel viale sul lungomare dedicato dalla cittadina del New Jersey a The Voice l’ouverture dell’album numero 17 della serie, una seduta d’ipnosi lunga più di sette minuti con ritmo incalzante da motorik in stile Neu!, fragore di chitarra alla Sonic Youth e canto suadente, culminante nel fulcro epigrammatico del ritornello: “Finché tutti collassiamo”.
Dopo “Sinatra Drive Breakdown” arriva “Fallout”, ballata dal portamento classico, il nocciolo della quale enuncia un’intenzione: “Voglio cadere fuori dal tempo, tornare indietro, rilassarmi prima che diventi sovrastante e mi metta al tappeto”.
Più elettrico e nervoso del pacificato There’s a Riot Goin’ On (2018) e successivo al momentaneo oblio lessicale che aveva reso strumentale We Have Amnesia Sometimes (2020), This Stupid World è frutto di semplificazione: il trio l’ha prodotto in proprio, senza troppi orpelli, emulando un’essenzialità da concerto e badando al sodo («Cerchiamo solo di fare della musica che ci piaccia», ha dichiarato Kaplan a Guitar.com).
Nel brano omonimo, affiorando a fatica dal caotico rumorismo circostante, degno dei Velvet Underground di “European Son” (i tre ne avevano indossato del resto i panni nel film del 1996 Ho sparato a Andy Warhol), la voce recita: “Questo mondo stupido mi sta uccidendo, questo mondo stupido è tutto ciò che abbiamo”.
Intervistato da “Pitchfork”, lo stesso Kaplan ha spiegato a proposito del titolo: «Riguarda l’umore che abbiamo, che io credo coinvolga tutti, persino le persone distanti da noi mi pare possano condividerlo». All’apparenza, dunque, la narrazione mostra un profilo malinconico: benché seducente nel suo stralunamento semiacustico, “Until It Happens” affonda un colpo di grazia (“Preparati a morire, preparati finché c’è tempo”).
E in chiusura, a dispetto di un arredo sonoro confortante, i versi intonati armoniosamente da Hubley durante “Miles Away” ne incupiscono il senso: “Gli oneri aumentano, distogli lo sguardo, il dolore s’insinua comunque”. Spetta a lei il microfono pure in “Aselestine”, elegia per un amore finito situata a un passo dal country: “Dove sei? Le droghe non funzionano come dicevi, l’orologio non ticchetta, non riesco a prevedere, non posso vendere i tuoi libri, anche se me lo avevi chiesto”.
Appena prima, però, fra le pieghe di “Tonight’s Episode”, il messaggio aveva altro tenore: “Se sto dicendo la verità sulla mia vita, e non è detto che lo stia facendo, non abbattermi con i tuoi consigli”, preludio a un nonsense gastronomico a base di shabu shabu e guacamole, cui fa eco in seguito l’esilarante susseguirsi di apparizioni celebri – Alice Cooper, Ray Davies e Rick Moranis, attore in Ghostbusters e La piccola bottega degli orrori – nel tormentato dormiveglia descritto in “Brain Capers”. Sta perciò nell’alternanza fra inquietudine e ironia il punto di equilibrio narrativo del disco, mentre sul piano musicale gli Yo La Tengo ridisegnano i tratti distintivi della propria fisionomia con sapienza da veterani: nel XXI secolo non si erano espressi ancora a questo livello.