Viaggiando con i Bitchin Bajas
Il quinto album del trio di Chicago spazia dall’ambient elettronica al jazz avant-garde
Avviato a inizio decennio come esperimento individuale da Cooper Crain (in origine chitarrista nei rumoristi psichedelici Cave), il progetto Bitchin Bajas si è evoluto man mano che i ranghi venivano infoltiti da Dan Quinlivan (chitarra e sintetizzatore, proveniente dai Mahjongg) e Rob Frye (ance e chitarra, anch’egli dai Cave).
Al quinto lavoro discografico, il trio di Chicago si posiziona in un’area di sperimentazione sonora intermedia fra l’ambient elettronica e il jazz avant-garde. Sotto quest’ultimo aspetto è sintomatica la cover di uno standard di Sun Ra, “Angels and Demons at Play”, abbondantemente raddoppiato nell’estensione temporale e soprattutto trasfigurato in diafano ectoplasma d’atmosfera, da swing esotico che era. Altro punto di riferimento, evidente benché non dichiarato, è Terry Riley, del quale i Bitchin Bajas hanno riproposto lo scorso anno dal vivo In C: l’impronta minimalista del maestro californiano è nitida nell’ipnotico episodio che introduce l’opera, “Jammu”, dal nome di una città nell’India settentrionale.
È riferito viceversa all’isola più occidentale del Giappone “Yonaguni”, brano che evoca sensazioni da spiritualismo agreste, e nipponici sono due tra i musicisti chiamati ad arricchire l’impianto strumentale, il chitarrista Masaki Batoh (dai leggendari Ghost) e il percussionista Nori Tanaka. Nell’arco di 80 minuti, tale da rendere l’album su vinile doppio, Bajas Fresh attraversa geografie ed epoche diverse, spingendosi addirittura fino alla Germania anni Settanta dei “corriere cosmici” in “Circles On Circles”, dove si percepisce l’eco dei Tangerine Dream di Phaedra.
È un viaggio avventuroso e avvincente, la cui sosta più lunga coincide con la solennità esoterica di “2303”, quanto cioè dura in minuti e secondi. Merita di essere affrontato da ascoltatori curiosi e spregiudicati.