Uncut Gems, Daniel Lopatin torna al cinema
Le musiche di Daniel Lopatin (alias Oneohtrix Point Never) per Uncut Gems, il nuovo film dei fratelli Safdie
Già sperimentata con successo nel 2017 in occasione di Good Time, che ottenne quell’anno a Cannes il premio nella sezione dedicata alle colonne sonore, la partnership fra Joshua e Benjamin Safdie, registi del film, e Daniel Lopatin, punta di diamante nella scena elettronica contemporanea con lo pseudonimo Oneohtrix Point Never, si rinnova in Uncut Gems, indicato da numerosi commentatori fra le migliori opere cinematografiche datate 2019 (in Italia approderà a fine mese direttamente su Netflix).
Oneohtrix Point Never, musiche da Palma d’Oro
A spiegare il movente che ha spinto i filmmaker newyorkesi verso il concittadino musicista è il maggiore dei due fratelli, Josh: «I suoi album sono molto concettuali e lo ammiravo per questo: in fondo ciò che faceva era musica per film che non esistevano».
Benché l’ascolto del disco non possa rendere il grado d’integrazione fra suoni e immagini, è sensato immaginare che sia pari se non addirittura superiore alla volta scorsa, dove le musiche non solo assecondavano le disavventure del delinquente da mezza tacca impersonato da Robert Pattinson, in cui viene implicato suo malgrado il fratello disabile, ma ne enfatizzavano la drammaturgia, completandola. In questa circostanza, invece, il racconto – durante il quale svetta a un certo punto il cammeo di Abel Tesfaye, ossia The Weeknd – è imperniato sulla figura di un gioielliere arruffone, intrappolato fra debiti e scommesse, interpretato da Adam Sandler: altro personaggio in bilico fra miserie quotidiane e velleità smisurate.
«I suoi album sono molto concettuali e lo ammiravo per questo: in fondo ciò che faceva era musica per film che non esistevano».
A tale proposito, Lopatin ha affermato di essersi dato il compito di «trovare il cosmico nell’ordinario», alludendo en passant all’umore da “prog” anni Settanta – passione da lui condivisa con i Safdie – che trapela qui e là in modo evidente. L’episodio iniziale, “The Ballad of Howie Bling”, si sviluppa ad esempio su un canovaccio che richiama il Vangelis di Blade Runner, mentre "The Blade" riecheggia i Tangerine Dream reclutati da William Friedkin in The Sorcerer (da noi, Il salario della paura) e persino i Goblin cari a Dario Argento.
Dominano dunque la scena i sintetizzatori analogici (non a caso l’autore ha affidato il suo pensiero sul progetto a un documentario realizzato da Moog Music), che si tratti di conferire cadenze techno a “School Play” o di creare evocativi fondali ambient, tipo quelli di “Pure Elation” e del brano che accompagna l’epilogo.
La tavolozza sonora impiegata da Lopatin è comunque ampia, alternando incalzanti ritmiche tribali (“Windows”, dove l’effetto corale delle voci campionate ricorda i Carmina Burana) a nottambule suggestioni lounge (il sassofono mellifluo in “Back to Roslyn”), tra sfumature jazz (“Powerade”) e solennità da canto gregoriano (“Mohegan Suite”). Cosicché il contenuto dell’album, nonostante l’inevitabile limite posto dalla dissociazione dal film, risulta in sé degno di attenzione.