Tutti i suoni di Liv.e

Girl in the Half Pearl è un mix di stili black che conferma il talento di Liv.e

Liv.e Girl in the Half Pearl
Disco
pop
Liv.e
Girl in the Half Pearl
In Real Life
2023

Era la fine di luglio del 2020 quando Liv.e – vero nome Olivia Williams, originaria di Dallas ma residente a Los Angeles – dava alle stampe Couldn’t Wait to Tell You…, il suo album d’esordio.

Due anni e mezzo dopo è il turno di Girl in the Half Pearl, uscito ancora per l’etichetta In Real Life, album sviluppato e perfezionato durante una residenza al Laylow, celebre ristorante nonché club londinese, che preserva l’eredità musicale nera, spingendo al contempo il proprio stile soul nel territorio avant-garde. Musica lo-fi che si aggira tra R&B sperimentale, jazz cosmico, gospel, nu soul, spoken word e altro ancora, in un guazzabuglio che anziché disorientare risulta affascinante.

Del resto le categorizzazioni e gli incasellamenti non piacciono proprio a Liv.e: «Non riesco davvero a trovare la maniera per spiegare cos’è il mio suono».

«Non riesco davvero a trovare la maniera per spiegare cos’è il mio suono».

Fin dagli inizi Liv.e ha avuto dei padrini d’eccellenza: nel 2019 l’allora ventunenne Olivia collaborò in un brano con il rapper Earl Sweatshirt, che poi l’invitò in tour con lui, e l’estate successiva il lancio del suo album, il già citato Couldn’t Wait to Tell You, avvenne con un livestream sul sito di Erykah Badu.

 Visto l’ottimo risultato raggiunto con l’album d’esordio, c’era molta attesa per questo nuovo capitolo della discografia di Liv.e: Girl in the Half Pearl è il suono della re-invenzione, dove s’intreccia una rete astratta di hip hop rigorosamente lo-fi, soul spettrale, ambient noise e breakbeat retro-futuristici.

Sembra evidente che l’artista manifesti interesse zero verso il raggiungimento della coesione in questa fase della sua carriera e dunque quest’album di 17 canzoni per una durata di 41 minuti nasce in prima battuta per un solo ascoltatore: Liv.e stessa. Un album di contrasti, in cui Olivia riesce a piegare i contorni dei generi musicali in modo da farli coesistere: ne è esempio “Six Weeks”, dove il jazz sensuale è srotolato su beat industriali sibilanti.

Considerate le molte voci interiori messe in mostra dalla cantante nel corso dell’album – dai sussurri accennati alle grida sovraeccitate (tutto il campionario viene dispiegato in “Ghost”, brano modulato su un tappeto drum & bass) – è facile descrivere questo lavoro come una sorta di diario in musica.

Tuttavia il modo in cui sposa la dissonanza con la melodia è più in sintonia con la fisicità della vita notturna, la brusca cacofonia della musica ad alto volume e il chiasso della strada, e i brani risuonano come idee acute nel frenetico stato mentale di Liv.e (in un’intervista concessa a Clash Magazine ha affermato di «essere spaventata dall’idea che la gente possa ascoltare i suoi pensieri»).

«Voglio solo giocare coi miei giocattoli / Sono troppo giovane per i grandi problemi del mondo» - “Gardetto”

 Nel vorticoso psych soul di “Heart Break Escape” – una delle canzoni più complete della raccolta – lei prende il coraggio di impegnarsi in nuove relazioni, mentre la cavernosa e arpeggiata “Snowing” potrebbe essere una meditazione solitaria sotto l’incantesimo di vapori narcotici.

«Penso che le droghe, prese con moderazione, siano grandiose. Mi piace che influenzino il cervello e che noi diventiamo cose differenti ma, accidenti!, dopo ‘sta roba ti fa sentire pazzo!» - Liv.e

A causa del suo make up bizzarro e variabile, può risultare difficile scovare il cuore pulsante del disco; dopo due o tre ascolti lo si può individuare tra le macerie del jazz pop fatto a pezzetti di “Wild Animals”, brano prodotto da John Carroll Kirby e Solomonphonic, nell’acid soul memore della lezione dell’etichetta Brainfeeder (quella di Flying Lotus), di “Lake Psilocybin” e di “Find Out” – brano in cui  cui Liv.e apparentemente accetta in pace che le cose intorno a lei facciano il loro corso; o di “Our Father”, con l’evocazione della sua educazione timorosa di Dio sviluppata su un sample dell’inno gospel “If It Had Not Been for the Lord on My Side” di Helen Baylor

Ma, ripensandoci, perché non in “Clowns”, brano che mette insieme l’electro-funk e l’assalto noise, o in “Glass Shadow”, con le sue armonie vocali che richiamano i cartoni animati?

 Girl In The Half Pearl documenta la natura disordinata della giovane età dell’artista texana, spiega perché è questo il momento giusto per far parlare il suo caos interiore per illuminare il mondo circostante e lo fa utilizzando un miscuglio di generi musicali, dando vita a un risultato nuovo ed eccitante.

«È un album che vi farà sentire come se aveste preso droghe. Voglio prendere i vostri corpi e liberarli. Voglio che vi confrontiate con voi stessi e che vi amiate. Questa è musica per il corpo: ecstasy, funghi, acido e musica d’animazione giapponese» - Liv.e

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