Tutte le leggende del Collettivo Decanter

Emilia d'Hercole è il secondo disco del torinese Collettivo Decanter, capitanato da Marta Caldara 

Collettivo Decanter - Emilia d'Hercole
Collettivo Decanter
Disco
world
Collettivo Decanter
Emilia D’Hercole
Visage Music
2018

Questo secondo, progettuale, marinaro, lavoro – pubblicato agli sgoccioli dello scorso anno – del piemontese Collettivo Decanter nasce da un soggiorno artistico di una settimana, nel settembre 2017, all’Isola d’Elba, presso il piccolo centro di Rio Marina, davanti alle coste livornesi, sede di caratteristiche e storiche miniere di ferro a cielo aperto, materiale prezioso estratto e lavorato già in epoca etrusca.  

Dopo aver vinto il bando L’Elba del Vicino, ideato dall’attore e regista torinese Enrico Gentina, il gruppo, capitanato dalla compositrice, arrangiatrice e polistrumentista (anche lei torinese) Marta Caldara (pianoforte, marimba, vibrafono, kalimba, Rhodes), ha potuto recarsi all’Elba alla ricerca di storie e leggende (e dei luoghi che ne conservassero memoria), a proposito di pirati, streghe, pescatori, marinai e artisti (come l’analfabeta di Portoferraio "Mago Chiò", che nel XIX secolo usava arrampicarsi su tutti gli edifici, per scrivere il proprio nome a caratteri cubitali). Tutte raccolte sul posto grazie alla solerzia e alle conoscenze della guida naturalistica Giacomo Luperini, tutte che sanno restituire la profondità del magico retaggio culturale della splendida isola tirrenica. 

Storie, poi, tutte da veicolare attraverso le ariose, vivaci musiche acustiche, di ampia ispirazione world e – nell’occasione molto – mediterranee del Collettivo Decanter (si ascolti ad esempio, in "Chiudo le finestre", l’incantevole e icastico intreccio di chitarra e kalimba, contornato dalle nostalgiche e lievi note di low whistle, nel racconto di un mare in tempesta, che genera confusione). Oltre alla Caldara, completano il collettivo il talento lirico dell’eclettico fiatista e organettista valdostano Vincent Boniface (sax soprano, clarinetto, low whistle, cornamusa e organetto diatonico), la delicata e ferma voce “pop” jazz di Alessia Galeotti e l’agile chitarra “flamenca” di Marco Perona

Nell’occasione, il Collettivo Decanter è anche aiutato dai camei delle voci di Riccardo Ruggeri (nella sabbatica e leggendaria "Malopescio"), Silvia Donati (nella bossanova lusitana "Meu Navio") e Luisa Cottifogli (in "Vola più in alto", canzone dedicata ai bambini, nostro futuro e ricchezza, ma anche al bambino interiore che è in ciascuno di noi), oltre che dalla partecipazione, come nell’occitana (sorta di conclusivo ritorno a casa, direttamente dalle Valli di Lanzo) "Polenta e biòrro", dell’ensemble piemontese Folkestra&Folkoro, sempre ottimamente diretto dalla stessa Marta Caldara. 

Il titolo dell’album – Emilia d'Hercole – prende suggestivamente spunto da una vicenda storicamente documentata, anche se non facile da districare, comunemente nota come la storia di Barbarossa e il bambino, sulla quale è interessante provare a fare brevemente un po’ di luce. 

Si tratta, in realtà, della storia di una coraggiosa donna (“figlia del vento e del mar” - coinvolgente la title track che ne rievoca le vicissitudini), Emilia D’Hercole (appunto), abitante dello scomparso (nel senso di distrutto, raso al suolo) villaggio di Grassera, anticamente situato poco sopra l’odierna Rio Marina. Nel 1534 Grassera fu vittima di una tremenda incursione ottomana, per mano di Kahyr ed Din, detto anche Ariadeno Barbarossa, celebre condottiero, corsaro e ammiraglio della nutrita flotta turca al servizio di Solimano Il Magnifico. 

La donna, molto bella secondo le cronache, venne dal Barbarossa rapita e regalata a un generale delle sue galee, Sinam dalle Smirne Bassà, dai turchi soprannominato il giudeo, dal quale Emilia ebbe un figlio, che insieme a lei fu poi rocambolescamente liberato l’anno successivo, nell’ambito di una sorta di “operazione di salvataggio” (un altro violentissimo saccheggio), voluta e organizzata dall’imperatore Carlo V, ad opera di una flotta (un variegato contingente cristiano, specie di Lega Santa ante litteram) che, al comando dell’ammiraglio ligure Andrea Doria, mise letteralmente a ferro e fuoco l’intera città di Tunisi, avamposto ottomano in Africa del nord, nella quale molti prigionieri cristiani erano stati deportati. 

Ma a Emilia quel figlio, nato dalla violenza eppur in seguito desiderato, non venne restituito. Fu consegnato nelle mani dell’allora signore di Piombino, Jacopo V o Giacomo Appiani (che per questo la ricompensò con tutta una serie, potremmo dire, di agevolazioni fiscali). Appiani a sua volta, una volta battezzato il piccolo, volle tenerlo con sé, presso la propria corte, probabilmente per dare al figlio la compagnia di un fratellastro, oltre che per custodire un prezioso ostaggio, potenzialmente utile per successivi scambi e trattative con il nemico. 

Fanciullo che peraltro, ben dieci anni dopo, a conclusione di un’ulteriore violenta campagna di razzie, il Barbarossa tornò incredibilmente a riprendersi, per riportarlo a Suez dal padre Sinam (che nel frattempo là era stato comandato dal Sultano), il quale si dice abbia ceduto di schianto, sia in sostanza deceduto, per la sorpresa e la contentezza. Tumultuosi rimandi storici, inscritti nelle pregevoli note “contemporanee” del Collettivo Decanter.

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