Tirzah, il romanticismo nell’era digitale
L’album d’esordio della londinese Tirzah Mastin: astrattismo emotivo e canzoni alla periferia del clubbing
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Con quel nome che evoca epoche remote (“mia delizia” in ebraico, nella Torah indica una delle figlie di Zelophehad, nonché nella Bibbia una città della Samaria) e misteri esoterici (intitola una poesia nei Canti dell’innocenza e dell’esperienza di William Blake), la trentenne londinese Tirzah riaffiora all’attualità dopo essersi segnalata cinque anni fa con il singolo "I’m Not Dancing", realizzato insieme a Mica Levi, alias Micachu, in gioventù sua compagna di corso alla Purcell School for Young Musicians di Wartford.
Se quest’ultima – qui determinante, avendo responsabilità delle musiche in fatto di composizione, arrangiamenti e produzione – ha conseguito frattanto status da autrice affermata (soprattutto su scala cinematografica, grazie alle colonne sonore di Under The Skin e Jackie), Tirzah Mastin è rimasta defilata, limitandosi all’EP No Romance e a un duetto con il protagonista – in “Sun Down” – nel terzultimo lavoro di Tricky. Ecco un primo indizio per localizzarla: il trip hop dell’ombroso uomo di Bristol. Aggiungete poi un paio di dichiarate e disparate fonti d’ispirazione: The Streets e Robert Wyatt. Il suo album d’esordio sta da quelle parti: tra periferia del clubbing e astrattismo emotivo.
Lo introduce eloquentemente “Fine Again”: arpeggio sintetico, echi di pianoforte e un’intonazione soul profonda. Formula perfezionata in “Gladly”, dove su un groove in moviola la voce pronuncia parole d’amore, vero tema conduttore dell’opera, sviluppato con candore poetico da diario adolescenziale: “Sei simile a me, più vicina di quanto sia mai stata, ti voglio avere intorno, sempre”.
Il ritmo accelera solo in “Holding On”, in genere puntando viceversa a ipnotizzare, come accade in “Say When”, una sorta di gimnopedia da Satie dell’era digitale, e nella spettrale “Affection”.
E se “Basic Need” accentua la pulsione sensuale, “Guilty” – annunciata dall’ectoplasma di una chitarra elettrica – gioca con garbo ed efficacia la carta dello spleen in AutoTune. Ne risulta così una raffigurazione del romanticismo nel nostro tempo: a tinte tenui, essenziale ed elusiva. Affine a ciò che oltreoceano, in chiave maschile, è capitato di ascoltare da Frank Ocean. E almeno altrettanto incantevole.