Stephen Thelen, ritmi per il Kronos
World Dialogue è il nuovo lavoro del chitarrista e compositore Stephen Thelen, con Kronos e Al Pari Quartet
A volte accade, per fortuna, che il destino operi in modo che quanto non osavamo neppure sperare si concretizzi a breve, per una fortunata illuminazione. Stephen Thelen, eccellente chitarrista e compositore che molti assoceranno in primis alle vorticose avventure sonore in casa MoonJune, e poi ai Sonar, l'ensemble chitarristico che sta portando alle estreme conseguenze la lezione di Fripp e del jazz sperimentale, un giorno aveva ospitato a casa sua il critico musicale Anil Prasad per fare due chiacchiere. A un certo punto il chitarrista rivelò a Prasad che un suo sogno era far incidere una sua composizione per quartetto d'archi, World Dialogue, al Kronos Quartet, il gruppo che forse ha saputo incamerare di più e meglio gli stimoli delle note contemporanee, jazz ed etniche nell'organico dedicato alle note classiche, in quasi mezzo secolo di attività a dir poco frenetica, ma sempre concretizzatasi in episodi memorabili: vedi l'ultimissimo Long Time Passing dedicato alla figura gentile e torreggiante, nella declinazione popular, di Pete Seeger.
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Insomma, caso vuole che Prasad in quel momento stesse conducendo un ciclo di interviste proprio con David Harrington del Kronos Quartet. Detto fatto. Messisi in contatto, Stephen Thelen ha scritto un nuovo pezzo per il Kronos, “Circular Lines”, dedicato alla tragedia dei rifugiati: musica tonale splendida, strutturata sul cozzo poliritmico di metri diversi, un brano esplicitamente richiesto da Harrington da inserire nel repertorio che il Kronos sta via via mettendo assieme per formare i nuovi quartetti d'archi alla musica dei nostri giorni.
“World Dialogue”, il primo brano uscito dalla penna di Telen è invece finito nelle mani sapienti del meno noto ma tostissimo Al Pari Quartet, quartetto polacco d'archi tutto al femminile, assieme ad altri due brani. Tutti caratterizzati da una propulsiva e freschissima spinta ritmica costruita sugli accumuli di metri diversi: è il millennario spunto della “piramide dei ritmi” Bantu che i master drummers centrafricani mettono in pratica da sempre, e che il minimalismo ha ereditato in pieno, vedi alla voce Steve Reich.
Poi ci sono le linee melodiche palpitanti e fresche, molto vicine a Glass e Wenders. All'ascolto, si prova quasi una sensazione d'entusiasmo: merito di chi interpreta, merito di chi ha scritto, per un'altra pagina musicale che contribuisce ad abbattere i limiti di genere. Perché, come diceva Don Cherry, «chi crede troppo ai confini, finisce per esserne parte».