Starfuckers, o della musica che ferisce

Riflessioni su The Eternal Soundcheck degli Starfuckers, registrazione-scommessa del 1999

Starfuckers eternal soundcheck
Disco
oltre
Starfuckers
The Eternal Soundcheck
Spittle Records
2020

La fottuta nebulosa. Provate a far ascoltare la musica dei bolognesi Starfuckers a un profano di proposte avant-rock, quasi certamente vi prenderà per scemo, dicendovi che siete di sicuro a digiuno in fatto di armonia, senso della composizione, etc. Eppure le musiche del trio composto da Manuele Giannini (chitarre e voce), Alessandro Bocci (synth, sampler e giradischi) e Roberto Bertacchini alla batteria sono, per quanto possano risultare assurde ai più, vive, mature, che feriscono nel profondo, frutto di un percorso comunque coerente con quanto già pubblicato in passato, dagli esordi quasi à la The Stooges di Metallic Diseases (1989), fino alle prove più aliene di Sinistri (1994), Infrantumi (1997) e Infinitive Sessions del 2002; il canto del cigno avverrà tre anni più tardi col nome modificato proprio in Sinistri attraverso le prove fantasma di Free Pulse.

Theatre of the eternal soundcheck – appunti su una registrazione-scommessa. Questo soundcheck che sembra non finire mai è in realtà un condensato del lavoro espresso dal trio tosco-bolognese, per di più catturato durante un'esibizione-maratona che si tenne al Link nel lontano aprile del 1999, locale dove sono passati mostri sacri come Aphex Twin, Autechre, Pan Sonic e Jeff Mills. La band dichiara nelle note che accompagnano il vinile, stampato dalla Spittle Records: «invitati al festival decidemmo di presentare un progetto a cui pensavamo da tempo: suonare per sei ore consecutive, salendo sul palco senza avere alcuna idea sul da farsi. La scelta della durata estrema, insieme ad altri dispositivi tecnici e chimici che avevamo predisposto, era parte di un percorso di ricerca che ci vedeva impegnati nel tentativo di trovare il modo di rendere la nostra musica il più possibile libera da noi stessi. Se per la registrazione di Infrantumi avevamo trovato nella funzione violenta e disgregatrice del silenzio il principio generatore delle nostre musiche, in The Eternal Soundcheck lo sfinimento fisico divenne il principale dispositivo di produzione».

«Decidemmo di presentare un progetto a cui pensavamo da tempo: suonare per sei ore consecutive, salendo sul palco senza avere alcuna idea sul da farsi».

Ad aprire le danze “A colei con lui”, estrapolata da Infrantumi, con la voce felpata e all'apparenza tranquilla di Giannini che declama: “dimmi com'è, mentre scivoli nell'acqua. C'è qualcosa di dolce, che, iniziato, e poi interrotto, appiccicato addosso. La verità, dicevi, è sempre concreta”. Fa da controcanto la storta e livida “Mutilati”, da Sinistri, una sorta di intermezzo funesto fatto con poche note di basso e di batteria alternate ad altrettanto scarse pennellate di chitarra disturbate dai sampler di Bocci; ma è la prova quasi a metà tra il cosmic-rock tedesco e una forma di pauroso isolazionismo a dare una sferzata pesante al disco: “33 Zero” non lascia scampo ai vostri incubi, se ne impossessa e li porta con sé in un luogo desolato e senza atmosfera, rischiando di farvi perdere il fiato, una prova questa da pelle d'oca.

Nel lato B poi si registrano particolari crescendo atmosferici, non dissimili da quelli architettati dal Gruppo di Nuova Consonanza quasi trent'anni prima, che sanno di nervosismo misto ad inquietudine, togliete però la sola tromba di Morricone e restiamo comunque da quelle parti. “251 Infinito” è infatti una lunga jam-session che non trova mai pace, ma è un po' tutta la musica degli Starfuckers che è, per fortuna, suonata a questa maniera. Quando poi Giannini pronincia le sue poche parole viene a galla tutto l'amore per il discorso musicale dell'amico e sodale Emidio Clementi dei Massimo Volume. Ecco, se proprio si vuole provare a definire la musica del trio, si potrebbe paragonarla vagamente a quella della band di Stanze e Lungo i bordi, ma come suonata da amanti del jazz che non sanno come approcciarsi al rock e si perdono felici in una sorta di swamp-blues senza capo né coda, dove ogni strumento fa per sé ma resta lo stesso parte di un insieme a suo modo coerente.

Una veloce, possibile conclusione. Insomma, se amate farvi venire dei mal di testa e siete pure un po' sadici, se non vi accontentate di musiche “carine”, “fatte bene”, che ricordano altre cose che vi piacciono già, questo The Eternal Soundcheck è il disco che fa per voi.

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