Squid, una distopia post-punk
Il quintetto inglese Squid debutta per Warp con Bright Green Field
Ecco farsi avanti un’altra band della nidiata cresciuta al Windmill di Brixton, attuale snodo nel sottobosco della capitale britannica: affine ai propri simili in certe inclinazioni espressive, dalla geometrica spigolosità di derivazione post punk a un’anarchia formale d’ispirazione jazzistica, gli Squid se ne distinguono nella scelta del contesto culturale in cui collocarle, citando a proposito la nozione di “presente estremo” formulata dalla scrittore canadese Douglas Coupland e la rivisitazione della teoria “hauntologica” di Derrida da parte di Mark Fisher, anche se in questo album d’esordio marchiato dalla prestigiosa griffe Warp l’evocazione esplicita riguarda la fantascienza distopica di James Ballard.
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Affiora infatti L’isola di cemento creata nel 1974 dal romanziere inglese nel brano che – dopo una breve introduzione senza parole – inaugura la sequenza, “G.S.K.”, acronimo del colosso Big Pharma GlaxoSmithKline. Discende viceversa da una suggestione cinematografica – la visionaria combinazione di realtà, memoria e sogno imbastita dal regista cinese Bi Gan in Un lungo viaggio nella notte – il seguente “Narrator”, dove il batterista Ollie Judge – principale autore dei testi, nonché voce recitante più che cantante del quintetto originario di Brighton – duetta con l’ospite Martha Skye Murphy, già corista nel 2013 – all’età di 17 anni – in Push the Sky Away di Nick Cave.
Che sia un disco figlio dello smarrimento esistenziale amplificato dalla pandemia trapela da versi captati qui e là: “Sarei dovuto rimanere a casa”, in “Boy Racers”, oppure “Ecco perché non esco”, al principio dell’episodio di chiusura, “Pamphlets”, apice della raccolta per l’ammirevole equilibrio fra pathos e ferocia.
Le strutture musicali che accolgono la narrazione degli Squid sono in genere complesse, alternando nel medesimo pezzo atmosfere e costruzioni di natura differente: il garbo dell’iniziale trama post rock di “2010” sfocia in un furioso imbizzarrimento rumorista, mentre in “Global Groove” (tagliente nel significato: “Guarda in tv la tua guerra preferita, appena prima di andare a letto, e poi la tua sitcom preferita, guarda le lacrime scendere sulla tua guancia”) la cadenza marziale e l’inflessione da comizio del parlato vengono stemperate dal fraseggio tenue dei fiati. Non fa eccezione “Paddling”, altro passaggio culminante di Bright Green Field.
Si percepisce in quel caso una pulsazione motorik in stile Neu!, quando l’apertura di “Documentary Filmmaker” svela invece l’influsso del minimalismo di Steve Reich, ammesso dagli interessati. All’ampiezza del vocabolario sonoro corrisponde un’evidente intenzione sperimentale che li accomuna ai sodali Black Midi e Black Country, New Road, rispetto ai quali – tuttavia – gli Squid mostrano una maggiore capacità di mettere a fuoco il turbinio d’idee da cui traggono musica.