Sofia Kourtesis, ballare di argomenti seri
Madres è il primo album della produttrice peruviana a Berlino, ed è il disco dance dell'anno
Al culmine di un’attività ultradecennale, giunge all’appuntamento con il primo album Sofia Kourtesis: 38enne DJ e produttrice di origine peruviana residente a Berlino. A un ascolto distratto, Madres suona come un gradevole e vivace esercizio dance, tutt’al più insaporito da alcune gustose spezie esotiche, quando in realtà i moventi che lo animano sono complessi.
Era stato così già con il brano grazie al quale Kourtesis – nel 2021 – aveva ottenuto visibilità, “La Perla”, incluso nell’Ep Fresia Magdalena: un raffinato e avvincente numero di house minimalista nelle cui pieghe scorreva la malinconia suscitata dalla scomparsa del padre.
Dopo di che sembrava dovesse toccare alla madre, gravemente malata e considerata inoperabile dai medici: non accettando il verdetto, la figlia si è appellata tramite Instagram al quotato neurochirurgo Peter Vajkoczy, offrendogli in cambio la sua musica. La terza traccia del disco è intestata perciò al cognome del luminare bavarese, che oltre ad accettare l’incarico (e salvare la paziente) si è lasciato coinvolgere tanto da seguire la richiedente nottetempo al Berghain, fulcro del clubbing nella capitale tedesca: «Gli è piaciuto davvero e abbiamo legato alla grande», ha raccontato lei a “The Guardian”. Il punto è: «Come possono argomenti seri, tipo la famiglia, la morte e il dolore, essere indirizzati a una pista da ballo?», si domandava l’interessata in una conversazione con “Dj Mag”.
«Come possono argomenti seri, tipo la famiglia, la morte e il dolore, essere indirizzati a una pista da ballo?»
La risposta si trova in questa decina di tracce, quasi un trattato sul potere taumaturgico della seconda arte: “How Music Makes You Feel Better”, per citarne una delle più riuscite.
E c’è poi il fattore geografico. Se n’era andata dal Perù appena 17enne, segnata dal bullismo subito a causa dell’indeterminatezza sessuale, senza tuttavia recidere i legami emotivi e culturali con le proprie radici: «La Germania è il mio motore, ma il mio cuore è decisamente latinoamericano», dice presentando sé stessa.
Attitudine confermata dalla prevalenza nei testi della lingua spagnola: ecco ad esempio “Estación Esperanza”, con gli echi di una manifestazione contro l’omofobia captati a Lima associati all’inconfondibile “¿Que hora son mi corazón ?” pronunciato in “Me Gustas Tu” dal consenziente Manu Chao.
Più pertinente ancora è in chiusura “El Carmen”, dal nome di un distretto della provincia di Chincha dove si perpetua da generazioni la tradizione afroperuviana, incarnata qui da ance euforiche e percussioni ancestrali messe in corto circuito con le cadenze della contemporaneità.
Al capo opposto della mappa mentale sta Berlino, cui rende omaggio “Funkhaus”: ipnotica apologia technoide degli edifici che ospitavano la radio di stato all’epoca della DDR, a riunificazione avvenuta riconvertiti in sale da concerto e registrazione.
Nell’arco di tre quarti d’ora abbondanti il ritmo è pressoché incessante, eccezion fatta per “Moving Houses”, epitaffio di una storia d’amore recitato fra glitch e lamenti ambient: “Andarmene da casa tua non è la fine, è felicità e amarezza, come posso spiegare questa sensazione? Come posso immaginarmi di nuovo sola?”. Al contrario, su incalzante palpitazione house esprime il fervore della seduzione “Si Te Portas Bonito”: “Penso ai tuoi sguardi, toccando il mio corpo, andrà tutto bene se sarai gentile”.
Cosicché Madres è come minimo il migliore album dance dell’anno.