serpentwithfeet e il soul dell'avvenire
L’album d’esordio di Josiah Wise, alias serpentwithfeet: pop e soul d'avanguardia per Secretly Canadian
Difficile che passi inosservato, con quei tatuaggi sul cranio – la raffigurazione di un pentacolo e le scritte SUICIDE e HEAVEN – e il vistoso piercing al naso. All’aspetto appariscente corrisponde tuttavia un’aggraziata sensibilità artistica, espressa in musiche al tempo stesso ricercate ed emotivamente intense. Così è in questo primo album, che segue l’EP blisters, con cui serpentwithfeet debuttò un paio di anni fa, definendo il proprio linguaggio “gospel pagano”.
Aveva cominciato a cantare da bambino nel coro della chiesa pentecostale di Baltimora frequentata dai genitori: a ciò si deve il timbro tuttora angelico della voce. Il lato “profano” deriva viceversa dall’esperienza di vita: gay dichiarato, Josiah Wise avrà faticato non poco ad affermare la sua individualità in un contesto simile, da cui si è sottratto infine nel 2013, emigrando a New York.
Là ha messo a fuoco e affinato il proprio talento, capace ora da richiamare persino l’attenzione di Björk, che recentemente gli ha commissionato il remix di un brano da Utopia, "Blissing Me". A trent'anni appena compiuti si trova adesso sotto la luce dei riflettori, indicato fra i protagonisti in ascesa nell’arena del pop d’avanguardia. L’ascolto di soil ne conferma il valore: attraversate da una vena di spleen, le 11 canzoni incluse sono incastonate in arrangiamenti frutto di una combinazione fra campionamenti o simulazioni di sonorità cameristiche (l’interessato dichiara di avere un debole per Schubert) e ambientazioni elettroniche architettata insieme ai produttori Clams Casino, Paul Epworth e Katie Gately.
L’effetto risultante colloca il “serpente con i piedi” in un habitat frequentato da personaggi quali Sampha e James Blake (l’iniziale “whisper”, ad esempio), oppure Arca, per varie ragioni – dall’identità sessuale alla spontanea affinità con Björk – l’analogia più pertinente, come dimostra qui “slow syrup”. Nel suo mondo senza maiuscole è naturale l’alternanza fra minimalismo austero (“mourning song”) e impennate melò (il pathos emanato da “cherubim”, impertinente apologia della fellatio: “Ragazzo, ogni volta che ti adoro la mia bocca si riempie di miele”).
Se a tratti si percepisce un certo compiacimento manieristico (in “fragrant”, soprattutto), verosimilmente lo si deve all’intenzione di fare colpo: cosa che riesce meglio quando lo slancio verso l’epica viene temperato da una maggiore sobrietà formale. Emblematico, in tal senso, è lo spettacolare epilogo celebrato in “bless ur heart”: prototipo di un soul dell’avvenir.