Nivhek, suoni e luoghi di Liz Harris
After Its Own Death / Walking in a Spiral Towards the House è il doppio album di Liz Harris (alias Grouper) a nome Nivhek
8 dicembre 2017, Barbican Hall, Londra: dopo una delle rarissime apparizioni di The Caretaker, in un angolo del palco, in compagnia del visual artist MFO, ecco comparire Liz Harris, per l’occasione nascosta dietro al nome Nivhek (ne abbiamo parlato QUI). Quando leggo After Its Own Death, mi scatta qualcosa nel cervello: questo titolo l’ho già sentito, ne sono pressoché certo. E infatti il progetto presentato quella sera aveva proprio questo titolo, frutto di un soggiorno a Murmansk, nella Russia Artica, un’autentica unsound dislocation.
Originaria dell’Oregon, Liz Harris è conosciuta soprattutto per i suoi lavori come Grouper e il suo ultimo lavoro, Grid of Points, è uscito meno di un anno fa, dopo l’ottimo Ruins del 2014, da lei definito “spazzatura emotiva”.
Se la prima parte di questo doppio lavoro di Nivhek/Harris è stata composta a Murmansk, la seconda è il frutto del lavoro svolto durante un soggiorno alle Azzorre, con l’aggiunta di field recordings catturati e organizzati nello studio della sua casa ad Astoria, nell’Oregon.
«La musica è una stanza di cui mi prendo cura, io contribuisco a decidere cosa è accettato. Qui stravolgimento ed errori, silenzio, tristezza profonda e incomprensione, tutto quanto ha un suo posto, tutto si adatta al disegno».
Due brani, quattro movimenti, che la Harris descrive come «un assemblaggio opaco di Mellotron, chitarra, registrazioni ambientali, nastri e pedali FX rotti. È uno dei miei lavori più spogli, più primordiali: fragile, febbrile, nefasto e ultraterreno».
Serve altro per accendere la nostra curiosità e gettarci senza difese dentro questo nuovo lavoro? Apriamo la porta e facciamoci investire da una musica che arriva da un altro mondo, da strati senza fine di riverbero, da ricordi eterei che provengono dal vuoto.
Non c’è struttura, non c’è ordine, è un sogno interminabile che include fedelmente tutto quello che succede durante la registrazione, dal canto onirico della Harris rivolto a chi sta entrando in quel momento nella stanza a una violenta e improvvisa distorsione.
«Sono ispirata da paesaggi mnemonici interiori e dalla curiosità che mi scatena una vicenda triste».
Rispetto ai lavori usciti a nome Grouper, la voce è meno presente, addirittura assente in Walking in a Spiral Towards the House, e questa potrebbe essere la novità più significativa di questo nuovo progetto.
Non siamo di fronte a canzoni quanto piuttosto a esperimenti sonori profondamente personali che richiedono all’ascoltatore un’attenzione totale per afferrare le molte sottigliezze, le sfumature e le profondità in cui è bene lasciarsi cadere.
La musica della Harris è la rivelazione di qualcosa di oscuro che sta ribollendo sotto i nostri piedi ma, ancora una volta, la sua bellezza e la sua eleganza ci avvolgono in un paesaggio sonoro privo di ritmo che ci rassicura. Questo lavoro è l’ennesimo mattone che concorre alla costruzione di un edificio (la discografia della Harris) di rara bellezza
«Questo disco è un requiem, un rituale per sbloccare e liberare sensazioni».