Nihiloxica, i marabù di Kampala

Kaloli è disco d’esordio della combo anglo-ugandese Nihiloxica: synth, trance e poliritmie con la benedizione di Aphex Twin

Nihiloxica
Nihiloxica (foto di Will Leeming)
Disco
world
Nihiloxica
Kaloli
Crammed
2020

Sviluppato sotto l’egida dell’attivissima etichetta sperimentale Nyege Nyege di Kampala, il progetto Nihiloxica nasce dall’incontro tra membri del Nilotika Cultural Ensemble – un gruppo di percussionisti tradizionali ugandesi – e Spooky-J e PQ, due giovani di Leeds posseduti dai ritmi tecnoidi generati dai loro synth analogici. Dopo i due EP che hanno avuto il merito di far accendere i riflettori su di loro, i Nihiloxica hanno avuto l’occasione di esibirsi al WOS Festival di Santiago di Compostela, alle Nuits Sonores di Lione e soprattutto al Printworks di Londra con il compito, insieme alla nostra Caterina Barbieri, di aprire per Aphex Twin, innamoratosi delle sonorità e dell’energia del gruppo.

«Siamo andati in Inghilterra per inscatolare otto brani in un disco e siamo tornati a casa con un’opera caratterizzata da una grande produzione. Kaloli ha davvero un grande suono!»

Kaloli, distribuito dall’etichetta belga Crammed Discs, è stato preceduto dal singolo “Tewali Sukali”, brano che riassume il mix che concorre a formare il suono del gruppo: djembe – tamburi a calice originario dell’Africa occidentale – apparentemente istintivi, trance e ritmi da clubbing.

«Il marabù, Kaloli nella lingua Luganda, è l’animale feticcio del gruppo. Onnipresenti a Kampala, questi spazzini si nutrono dell’esubero della città, proprio come i Nihiloxica. Siamo marabù che rovistano tra i cumuli di ritmi per far emergere il nostro suono. La nostra musica è composita, è il frutto di una mescolanza».

Registrato agli Hohm Studios subito dopo il concerto d’apertura per il set di Aphex Twin, Kaloli riesce a catturare l’energia inarrestabile delle esibizioni live del gruppo e a ingigantirla con la produzione di PQ. Il risultato sfocia nel misticismo, un viaggio in un territorio inesplorato a cavallo tra due modi di intendere la dance music, dove la musica tradizionale muta in qualcosa di sinistro e inquietante. Siamo di fronte a un assalto poliritmico a tratti dissonante che riesce comunque ad ammantarsi di bellezza trascendentale.

Nel disco sono inclusi anche tre frammenti di sessioni di prova tenutesi a Jinja, dove l’etichetta Nyege Nyege tiene un festival, diventato nel tempo un appuntamento imperdibile per gli amanti di sonorità “altre”.

Inutile scendere nel dettaglio dei singoli brani: il viaggio non prevede tappe intermedie. È un’esperienza angosciosa, ipnotica, che scuote il dancefloor e fa muovere il corpo. 

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