Nicolás Jaar, ceneri di quarantena
Un disco profetico: Cenizas, il terzo album di Nicolás Jaar
Prima che tutti noi finissimo forzatamente in isolamento, Nicolás Jaar lo aveva scelto volontariamente: «Mi sono messo da solo in quarantena da qualche parte agli antipodi per potermi concentrare sulla musica», spiega in una nota pubblicata sul suo sito web. Per poi aggiungere: «Più cercavo di allontanarmi dalla negatività, più se ne accumulava in forma di frammenti sonori dentro una stanza scura». E conclude: «Spero che insieme all’oscurità Cenizas indichi una strada per uscirne».
Nicolas Jaar, uno scherzo di carnevale: Against All Logic
Lo fa citando Coltrane, dopo aver eletto a stella polare Crescent, long playing del 1964 che precedette cronologicamente A Love Supreme, dal quale ha mutuato inoltre la proverbiale espressione «entrambe le direzioni contemporaneamente», impiegata per intestare l’album uscito postumo due anni fa, Both Directions at Once appunto.
Non che in Cenizas – “ceneri” in spagnolo – vi siano molte tracce di jazz, in verità: il sax baritono al principio di “Agosto”, che in coppia con il successivo “Gocce” denuncia il filo doppio che lega il trentenne produttore di origine cilena all’Italia e a Torino in particolare, complice il festival Club To Club; o il tenore tormentato che si ascolta in “Rubble”. Diciamo che l’accostamento vale soprattutto in termini di attitudine alla ricerca di un linguaggio musicale libero e, in qualche maniera, universale.
Da questo punto di vista, il terzo lavoro a nome Nicolás Jaar è dunque il più ambizioso concepito finora: formalmente ingegnoso, anche grazie alla partnership con Patrick Higgins, figura chiave dell’avant-garde newyorkese contemporanea. Incanalati gli impulsi dance d’inizio carriera nel materiale realizzato sotto la dicitura A.A.L. (Against All Logic), impressa al momento su un paio di dischi, tra cui il recentissimo 2017-2019, usando le proprie generalità anagrafiche Jaar esplora territori d’altro genere: nella circostanza un habitat nel quale convivono lo spleen elettronico di James Blake, l’esistenzialismo sperimentale dei Radiohead e l’astrattismo nottambulo di Burial.
In apparenza sembra aver accantonato il fervore engagé espresso nel precedente Sirens (2016), opera a suo modo politicamente radicale, ma se si analizza con maggiore attenzione il contenuto di Cenizas ci si rende conto che così non è. Dietro una parvenza di austero misticismo, evidenziata nel mantra vocale in stile buddista di “Xerox” e nel mormorio gregoriano che apre “Menysid”, aleggia una sorta di panteismo ecologista sintetizzato nel testo di “Faith Made of Silk”, l’episodio che conclude la sequenza su un evanescente ritmo latino: «Guardati intorno anziché davanti, un picco è solo una via verso la discesa».
Parole che risuonano oggigiorno di significati reconditi, inimmaginabili persino dall’autore quando le scrisse.