Nick Cave, un capolavoro scuro

Skeleton Tree: il nuovo, cupo disco di Nick Cave & the Bad Seeds

Nick Cave Skeleton Tree
Disco
pop
Nick Cave & the Bad Seeds
Skeleton Tree
Bad Seed Ltd.
2016

Le prime recensioni del nuovo disco di Nick Cave & the Bad Seeds insistono sul tema del dolore, della perdita, che attraversano tutto l’album. Non può che essere così: negli anni che separano questo Skeleton Tree dal precedente (Push the Sky Away, 2013) il cantautore australiano è comparso nelle cronache internazionali per la tragica morte del figlio adolescente, caduto da una scogliera la scorsa estate.

Il fatto che l’uscita del disco si sia accompagnata nel mondo alla première di un film che ne racconta la genesi, una specie di documentario intimo su Cave e la sua cerchia di familiari e collaboratori, compresa la loro elaborazione del lutto, non può che confermare l’impressione (in Italia vedremo One More Time with Feeling nei cinema il 27 e 28 settembre; la regia è di Andrew Dominik, con cui Cave ha già collaborato, insieme a Warren Ellis, per la colonna sonora del film L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford ). È però bene scindere il Cave-uomo dal Cave-autore (ed è un avvertimento sempre valido per ogni disco o libro): la morte di Arthur non è certo l’unico motore della cupezza del disco, né Cave ha cominciato solo ora a scrivere brani che parlano di solitudine, rapporto con Dio e condizione umana. È piuttosto – e da questo meccanismo non si scappa – il nostro inevitabile modo di approcciare un’opera d’arte, di leggerla: a partire dall’incipit stesso del disco, profetico (in quanto il brano è stato scritto prima dell’incidente). A dimostrare che, anche volendo, non è possibile “scollegare” i due Cave.

You fell from the sky, crash-landed in a field near the River Adur… I rimandi alla biografia sono, per quanto riconoscibili, comunque sempre molto sfumati: il Cave di Skeleton Tree è quello più obliquo, quello più sintetico e minimale. Le canzoni sono brevi, asciutte. Neanche un brano contiene quella sorta di foga verbale, di accumulo di parole e situazioni che ha spesso caratterizzato Cave negli ultimi anni: si punta su mantra ripetuti, sulla dolcezza, su una rassegnata malinconia, e la stessa voce si increspa di questi sentimenti (siamo anni luce lontani da Grinderman, per intenderci, anche nello stile di canto). Non c’è – e questo è forse l’indizio più significativo di stile – neanche una canzone ironica. Prevalgono i tempi lenti, i giri avvolgenti, i tappeti di feedback e sintetizzatori (mai usati con tanta frequenza in passato da Warren Ellis, che firma insieme a Cave tutte le musiche). Compare persino un soprano (Else Torp) nella toccante “Distant Sky”, senza accelerazioni, senza scossoni...

Non c’è, in Skeleton Tree, la “canzone memorabile” (come erano in Push the Sky Away “Higgs Boson Blues” e la title track), ma c’è un disco intero, un’opera incredibilmente solida e coerente nel suo mood. A suo modo, un capolavoro scuro, in cui squarci di luce si fanno strada solo qui e là, verso (forse) una pace finale: “And it’s all right now”, ripete ad libitum la coda del disco, fino al silenzio che lo chiude.

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