N.E.R.D. arrabbiati
Con NO_ONE EVER REALLY DIES i N.E.R.D. di Pharrell Williams interrompono un silenzio durato sette anni
Diciamola tutta: Pharrell Williams non aveva bisogno di ridare vita al progetto N.E.R.D. A partire dal 2013 è una superstar: quell’anno la sua collaborazione coi Daft Punk, “Get Lucky”, e quella con Robin Thicke, “Blurred Lines”, lo proiettano ai vertici delle classifiche di tutto il mondo; l’anno seguente è la volta di “Happy”, un gospel pop, e la sua vita non è più la stessa. Abituato, come produttore, a vivere in seconda linea il successo di qualcun altro, è improvvisamente proiettato sotto le luci dei riflettori: ospite richiestissimo nei talk-show, giudice a “The Voice”, testimonial di Chanel, sulla copertina di “Vogue”.
Però Pharrell ha la capacità di annusare i cambiamenti prima degli altri e all’inizio del 2016, mentre si sta facendo tingere di verde i capelli, si guarda allo specchio e pensa: “Dai, ripartiamo coi N.E.R.D.”.
È un’America che, a dispetto dei sondaggi, è già pronta per Trump, un’America egoista e spaventata che sembra non curarsi di cosa succede nelle proprie strade, dove i poliziotti possono uccidere impunemente i cittadini neri sulla base di semplici sospetti, il più delle volte infondati. Pharrell non è più “happy”, raduna i suoi sodali Chad Hugo e Shae Haley e si mette al lavoro. Gli ultimi due dischi del gruppo (usciti nel 2008 e nel 2010), siamo onesti, non sono propriamente memorabili: buone idee, alcuni episodi riusciti, ma una costante mancanza di unità.
Questa volta la lista dei collaboratori è impressionante: Rihanna, Kendrick Lamar, Future, M.I.A., André 3000, Frank Ocean, Gucci Mane e Ed Sheeran, nel pop-reggae “Lifting You” che ha il compito di chiudere la raccolta. Malgrado queste presenze ingombranti, Pharrell è il protagonista assoluto del disco, senz’altro il suo lavoro più politico finora: i testi di “ESP” e di “Don’t Don’t Do it” non si prestano a fraintendimenti (quest’ultimo fa riferimento alla supplica della moglie di Keith Scott nei confronti del poliziotto di Charlotte che di lì a poco avrebbe sparato a suo marito, mentre lei riprende l’omicidio a sangue freddo col cellulare), il sample “mad ethnic”, preso da un video comparso su Twitter in cui il rapper Retch si riprende mentre fuma una canna e inneggia a Martin Luther King e Malcom X, circondato da spettatori bianchi perplessi, compare in ben due brani.
Pharrell riesce a parlare di cose serie accompagnandole con ritmi che ci entrano in testa e ci costringono a muovere i piedi: già me lo vedo l’elettore medio di Trump mentre canticchia, inconsapevole del significato, una delle canzoni di No_one Ever Really Dies trasmessa dalla radio di un centro commerciale in Alabama.
Pharrell ha ammesso di aver ascoltato nell’ultimo anno molti gruppi del periodo post-punk o new wave, che dir si voglia, e si sente soprattutto nella potente “1000” con il suono che ricorda i Devo, ma anche in “Voilà”, dove il “trappista” Gucci Mane è costretto a cimentarsi con ritmi più veloci rispetto a quelli a cui è abituato.
Una costante di questo disco è proprio il cambio di velocità e l’esempio più riuscito in tal senso è “Rollinem 7’s”, dove si passa con naturalezza dal dimezzato al raddoppiato e dove, sul finale, la comparsa di André 3000 ci ricorda ancora una volta il ruolo fondamentale avuto dagli Outkast nella storia dell’hip hop.
No_One Ever Really Dies è un lavoro compatto, con una sua struttura compiuta e un giusto bilanciamento: a Capodanno si può ballare in maniera intelligente, sono tornati i N.E.R.D, quelli veri.