Musica per i medici di Gaza

Una splendida compilation per l'italiana Love Boat supporta l'organizzazione MAP (Medical Aid for Palestinians)

Benefit for MAP (Medical Aid for Palestinians) – We Will Stay Here – Music for Palestine
Disco
pop
Benefit for MAP - Medical Aid for Palestinians
We Will Stay Here – Music for Palestine
Love Boat
2024

Benefit for MAP (Medical Aid for Palestinians) – We Will Stay Here – Music for Palestine è la compilation ideata da Andrea Pomini e dalla sua etichetta Love Boat coinvolgendo 14 artisti che hanno creato e donato le canzoni che compongono questo disco, il cui ricavato andrà interamente all’organizzazione inglese MAP che da anni fornisce aiuto medico a Gaza e in Cisgiordania.

Ho pensato per giorni a come affrontare questa recensione: per forza di cose doveva essere una recensione musicale ma sarebbe stato impossibile e senza senso ignorare le motivazioni che sono state il motore di questa iniziativa, e lì comincia il problema perché il rischio di usare le parole sbagliate o di essere travisato è reale. Poi qualche giorno fa Pomini ha pubblicato sui social la recensione che Philip Sherburne ha inserito nella sua rispettata newsletter Futurism Restated e ho scoperto con piacere che contiene alcune riflessioni che condivido: «Le compilation benefiche alle volte possono essere viste come maggiormente focalizzate sul beneficio che sulla musica, e, per carità, va bene – ogni strumento per raccogliere fondi o aumentare la consapevolezza per una causa urgente è meritevole di essere seguito. Ma We Will Stay Here – Music for Palestine, curata da Andrea Pomini, è la rara compilation in cui la musica non è sentita come qualcosa che viene dopo».

Bene, Sherburne ha scritto quello che io pensavo: scrivo di questo disco perché lo reputo un disco musicalmente importante, a prescindere, e perché mi piace, non solo per le motivazioni che ne hanno dettato la realizzazione, motivazioni che – lo dico per onestà – in larga parte condivido.

L’embrione di questo progetto comincia a svilupparsi sul finire dello scorso anno quando Pomini nota la penuria di prese di posizione da parte degli artisti italiani su ciò che sta succedendo nella striscia di Gaza e allora chiede per così dire aiuto agli amici per ”censire” chi ha rilasciato dichiarazioni sull’argomento ponendo una domanda fondamentale: non dovremmo aspettarci la solidarietà anche da chi non è toccato direttamente da nessuna delle disgrazie del caso, ma volta per volta può giudicare in base ai suoi standard morali e nulla più?

Di quelli che con un post solo, fosse anche banalmente l’appello generico tipo Simpson («I bambini! Perché nessuno pensa ai bambini?») possono muovere sentimenti e opinioni nella coscienza della gente cosiddetta comune, invece di rifugiarsi dietro un sempreverde «è complicato, hanno tutti torto e ragione, ci vorrebbe la pace»?

Ma c’è qualche artista italiano che oggi abbia tale potere? Devo confessare che non me ne viene in mente nessuno, e anche all’estero non se la passano meglio.

Alla fine il caso italiano più eclatante è stato quello di Ghali all’ultimo Festival di Sanremo quando sul palco dell’Ariston ha pronunciato la frase «Stop al genocidio», con tutta la coda di polemiche sviluppatasi all’interno dei vertici Rai.

Bene, possiamo discutere di tecnicismi del tipo «è davvero un genocidio?» oppure «quand’è che si può parlare di genocidio?» ma la questione rimane: sostituiamo genocidio con massacro, morti, strage, carneficina: da quando dire basta a tutto ciò è diventato divisivo, come ci ha tenuto a spiegare l’Amministratore Delegato della Rai in una lettera?

Da quando una richiesta di sospensione di un’operazione militare che ha già causato quasi 35.000 vittime è divisiva? Da quando la parola pace è divisiva?

Evidentemente però l’ammonimento è stato recepito perché al Concerto del 1° maggio al Circo Massimo l’unico (o in ogni caso uno dei pochi) a rompere il silenzio generale sull’argomento è stato Cosmo, non a caso presente in questa compilation.

Prima di affrontare la parte musicale del progetto, il titolo: l’ispirazione arriva dal canto dei dottori dell’ospedale al-Awdah di Gaza.

«Noi staremo qui fino a quando il dolore non sarà finito, noi vivremo qui e continueremo a cantare»

Gli artisti che hanno risposto all’appello sono in gran parte italiani ma non mancano nomi stranieri come 3Phaz, Assyouti, Holy Tongue (nel cui organico però c’è anche la nostra Valentina Magaletti) e Susu Laroche.

Pomini azzecca totalmente la sequenza al punto che i 14 brani magicamente raggiungono e garantiscono omogeneità per tutta la durata del disco. Malgrado questa omogeneità alcuni brani spiccano maggiormente e mi riferisco a “Resistance Riddim”, episodio di dancehall pesantemente destrutturata ad opera di STILL, i sei minuti e mezzo di folk rivisitato di “Jinn Of the Bethlehem souk” cesellati da Mai Mai Mai in compagnia di Osama Abu Ali, e “On the Brink Of”, cavalcata krautrock dal sapore vagamente prog di Bono/Burattini.

Con “Collateral Damage” Bawrut mette a segno uno dei brani più orientati al dancefloor. Conoscevamo già “Breicha”, presente nel secondo EP degli Holy Tongue, che qui la ripropongono in una dub version meditativa di nove minuti in compagnia di Dali de Saint Paul, mentre il già citato Cosmo si ricorda di essere anche un dj e un produttore e unisce le forze con Alessio Natalizia (meglio conosciuto come Not Waving) nel brano “Mi troverai”, episodio di dance dalla struttura bizzarra, e Not Waving ritorna giusto in tempo per chiudere la raccolta con “If I Must Die” in cui tira su i bpm mentre l’attore inglese Brian Cox legge la poesia “If I must die” del poeta e professore originario di Gaza Refaat Alareer, ucciso insieme alla sua famiglia durante un attacco aereo mirato. Un finale sicuramente d’effetto e commovente.

– Leggi anche: Il viaggio astrale di Not Waving 

Nei giorni scorsi ho finalmente visto il film che nel 2017 l’attore nonché regista Mathieu Amalric portò al Festival di Cannes nella sezione Un certain regard: Barbara è il biopic – sviluppato, non sempre felicemente, su più livelli - che Amalric ha dedicato a ricostruire la personalità della cantautrice francese, amica e collaboratrice di George Brassens e Jacques Brel, ma che in realtà si risolve in una magistrale prova d’attrice della bravissima Jeanne Balibar, che infatti quell’anno vinse il César come migliore interprete femminile. Questo film, ricco di canzoni e non potrebbe essere diversamente, si chiude con “Perlimpinpin” e mi piace mettere la parola fine a questo articolo proponendovela, con la traduzione dei versi iniziali che spiegano questa mia scelta.

«Per chi, quanto, quando e perché, contro chi, come, contro cosa, ne abbiamo abbastanza delle vostre violenze,
Da dove venite, dove andate, chi siete, chi pregate, vi chiedo la cortesia di fare silenzio
Per chi, come, quando e perché, se bisogna assolutamente essere contro qualcuno o qualcosa, io sono per il sole che tramonta sulla cima delle colline deserte, io sono per le foreste profonde
Perché un bambino che piange, di qualsiasi luogo esso sia, è un bambino che piange
Perché un bambino che muore alla fine delle canne dei vostri fucili è un bambino che muore
Com’è disgustoso dover scegliere tra due innocenze, com’è disgustoso  avere come nemico il riso dell’infanzia» – Perlimpinpin

È possibile acquistare We Will Stay Here sulla pagina Bandcamp di Love BoatTutto il ricavato andrà a Medical Aid for Palestinians.

 

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