Meridian Brothers, l'Africa in Colombia
Mi Latinoamérica Sufre è il nuovo album del musicista e compositore colombiano Eblis Álvarez Vargas, alias Meridian Brothers
Mi Latinoamérica Sufre è il titolo del nuovo album del musicista e compositore colombiano Eblis Álvarez Vargas che dal 1998 si cela dietro il nome Meridian Brothers, gruppo che in realtà esiste solo nelle esibizioni dal vivo. È inutile che vi dica che nessuno dei musicisti coinvolti si chiama Meridian e che tra di loro non ci sono fratelli.
Dove eravamo rimasti? Ah sì, era il 2022 e i Meridian Brothers facevano uscire un disco in compagnia di un “leggendario” gruppo di salsa degli anni Settanta. Perché ho messo le virgolette? Perché El Grupo Renacimiento – questo il nome dei salseros – in realtà non è mai esistito, è soltanto un’altra versione dei Meridian Brothers che, a loro volta, come già detto sono un’altra versione di quel burlone di Álvarez: sembra di essere all’interno di un racconto di Jorge Luis Borges.
Ma chi è Álvarez? Semplificando al massimo lo posso definire un prolifico musicista di Bogotá che in 25 anni di attività ha frequentato sia l’avant garde sia la tradizione, mescolando la psichedelia, l’elettronica e il rock con gli stili dell’America Latina, in primis la cumbia colombiana. Nel disco del 2022 – uscito per l’etichetta Ansonia, nuovamente attiva dopo 30 anni di silenzio – Álvarez e i suoi compagni d’avventura si divertivano con una playlist assolutamente fantasiosa che svariava dalle proteste contro la polizia all’assuefazione agli amori impossibili, i cui testi aggiungevano un tocco surreale ai ritmi della salsa e dei suoi sotto-generi.
«Los policías crueles demonios / Siguen custodiando a sus socios (los políticos) / Si no te pones abeja / Vas a terminar en crematorio / Sucio policía no hay diversión / Anarquía absoluta la solución!» - La Policía
Ed eccoci a Mi Latinoamérica Sufre, un concept album la cui impronta sonora ha origine dal desiderio di esplorare il potenziale non ancora sfruttato della chitarra elettrica in un contesto latino-tropicale. Il disco trae inspirazione dalle intricate tradizioni ritmiche della musica delle guitar band di highlife e soukous tipiche di vaste zone dell’Africa, suoni che sono popolari sia sulla costa colombiana, soprattutto quella caribeña, nelle serate movimentate dai sound system chiamati picó sia nei loro territori d’origine in Africa.
Ma se state cercando una riproduzione fedele degli stili nominati prima non è questo l’artista giusto: nelle mani di Álvarez tutto diventa Meridian Brothers! Lui è assolutamente originale e profondamente impegnato nelle sfide che si è autoimposto.
Per nostra fortuna in questo album il suono dei Meridian Brothers rifugge dalla distorsione e dai tipici cliché del prog rock o di quello psichedelico, indirizzandosi verso un approccio puro, pulito: lo stesso suono della chitarra è totalmente asciutto, rinunciando ai delay tipici dei chitarristi congolesi.
Mi Latinoamérica Sufre rende omaggio all’epoca d’oro – quella degli anni Settanta – della rumba congolese, dell’highlife ganense e dell’afrobeat nigeriano, mescolando queste influenze con una varietà di contesti sonori innovativi ma comunque ancorati a vari ritmi latini, tutti suonati da Álvarez. Il risultato è una collezione di composizioni intricate che mettono insieme elementi di cumbia, champeta, soukous, tropicalia brasiliana e rock psichedelico, il tutto contenuto all’interno della struttura di una guitar band afro-latina.
Mi Latinoamérica Sufre ha un sottotitolo che è tutto un programma, un manuale di autoindulgenza che s’immerge in un ego trip, presentandoci un divertente quanto introspettivo viaggio di scoperta della propria identità: il personaggio principale, Junior Maximiliano III, naviga attraverso le complessità della scoperta di sé stesso usando sostanze psichedeliche, filosofia politica e folklore. Al termine di questo viaggio capiremo di trovarci di fronte a un antieroe, uno che ha fallito in tutto ciò che ha tentato, uno che si autocommisera dicendo, come il titolo di un fantastico esempio di soukous caribeño incluso in questo disco, “En el Caribe estoy triste”. Mentre se la vede con la nostalgia, la paranoia e la sofferenza condivisa, Álvarez mette in mostra la sua abilità vocale, riuscendo a creare una sorta di “teatro sonoro della mente”.
Il disco si apre con “Se que estoy cambiando” e la lascio presentare ad Álvarez: «La voce dice “questo è un effluvio di progresso” ma io mi sono ispirato direttamente a Lee Perry o Miles Davis, o meglio, alla voce di Miles Davis che genera spavento. Come anche quella di Lee Perry. Sì, è quello che ho voluto fare».
«Quella africana è una musica che ho sempre frequentato. A Barranquilla abbiamo uno stile che chiamiamo rastrillo, vale a dire impadronirsi di tutti questi brani africani di successo; voglio dire, a Barranquilla ci sono dei successi specifici e gli cambiano i titoli traducendoli in spagnolo. Questo stile era molto popolare negli anni 70 e 80 e là i successi girano ancora in console. È la champeta, la versione colombiana della musica africana» – Eblis Álvarez Vargas
“Mandala”, con la sua andatura funky, si allontana un po’ dall’atmosfera generale del disco. Per ammissione dello stesso Álvarez, l’idea era quella di imitare l’etichetta Machuca Funk e un artista come Brando Ortiz, un oscuro chitarrista da lui molto ammirato e di cui si sa pochissimo, se non che ha suonato in molti dischi targati Machuca, compreso El Grupo Folclórico, uno dei dischi preferiti di Álvarez.
“Mis Soledades”, una cumbia, è senz’altro una delle vette del disco, un altro lamento di Junior Maximiliano III, convinto che la colpa di tutto sia degli altri che non lo comprendono.
Nove brani (due in più nella versione CD e in quella digitale), accompagnati dai racconti visuali dell’artista, anche lui colombiano, Mateo Rivano: Mi Latinoamérica Sufre è un disco creativo in maniera feroce, pieno di inattese sorprese musicali e di delizie che vengono alla superficie a ogni ascolto, ed entra di diritto nella parte alta della classifica delle produzioni di Álvarez per la sua esplorazione musicale senza barriere e per la sua visione filosofica. Probabilmente ho trovato il disco della mia estate.
P.S. Come molti di voi sapranno, i Tiny Desk Concert di NPR Music sono spesso imperdibili: non fa eccezione quello tenuto un anno fa dai Meridian Brothers. Regalatevi 17 minuti e mezzo di puro piacere.