Maurizio Geri cantastorie d'Appennino
Perle d'Appennino è il nuovo lavoro di Maurizio Geri, con ospiti Riccardo Tesi, Gabriele Mirabassi, Nico Gori
Un futuro antico vibra, scintilla e si fa spazio nel nostro tempo amaro, tutto velocità e superficie, che non ci lascia mai andare al fondo delle cose. Grazie anche a un chitarrista e compositore che lancia messaggi dalla sua nicchia selvatica tra i monti del pistoiese, Maurizio Geri.
Maurizio Geri è un uomo che viene da lontano, e che sa andare lontanissimo, con la sua musica. Il suo presente di musicista e cantastorie (la definizione non è azzardata, e vedremo perché) è fatto di radici culturali solidissime, impiantate su una fantasia e un’apertura sulla contemporaneità che sono una sorta di sigillo di garanzia. Qualche anno fa, notoriamente, il gran signore dell’organetto Riccardo Tesi (qui naturalmente ospite) lo convinse a cantare, e non solo a muover le dita sul manico di una chitarra con la leggerezza veloce di chi è virtuoso dello strumento. Tesi aveva intuito che quella vocalità ispida e riservata, ma pronta a luminose aperture sul radioso melodiare degli antichi toscani era quanto ci voleva per dare maggior forza alla sua creatura sonora Banditaliana.
Geri si porta dentro le storie in ottava rima, le ballate che fotografano un momento di storia popolare che non finirà nei libri o nelle memorie digitali, ma continuerà a essere filtrato e rilanciato dalla musica ad infinitum. Geri, soprattutto, quando scrive nella sua lingua chiara, scandita e infittita di un vocabolario popolare e nobile assieme, da Dante dell’Appennino, tocca momenti di intensità poetica realmente spiazzanti.
Eppure l’uomo, a incrociarlo, è di una semplicità ritrosa evidente: l’umiltà è dote dei grandi. La dichiarazione di poetica è già nell’inizio di queste Perle d'Appennino, in un brano significativamente intitolato "La via dei canti": “La verità ha per madre la storia / lascia un’impronta nella memoria / la verità col cappello e i guanti / cammina sola sulla via dei canti”.
“La verità ha per madre la storia / lascia un’impronta nella memoria / la verità col cappello e i guanti / cammina sola sulla via dei canti”.
Eppure, chi credesse che qui in fondo si torna solo a giocare, e a giocar bene, con la tradizione “folk”, per quanto rivista, è fuori strada: è vero che ci sono le storie dei carbonai e di chi mangiava castagne, di chi andava a cavar ghiaccio per le mense dei signori, ma in contropelo arrivano spiazzanti affondi nel tango e in profumi jazz saporitamente retrò ("Koko", "Pipa") , assicurato da gente come Nico Vernuccio, Gabriele Mirabassi, Nico Gori, o calchi mimetici del suono “classic rock” alla Dire Straits d’annata ("La via del ferro": alla chitarra c’è Nick Becattini). Anche questa è tradizione, ormai.
E, per sdrammatizzare, arriva anche un brano costruito sui più classici versi “nonsense” inglesi: "Limerick". Un altro versante inedito della poliedricità di Maurizio Geri.