Matmos quota 99
99 ore artisti per oltre tre ore di musica: è The Consuming Flame, il nuovo progetto dei Matmos
Che Drew Daniel e Martin Schmidt – da 25 anni coppia musicale sotto l’insegna Matmos, dal nome del malefico fluido sotterraneo nel cult movie fantascientifico Barbarella – abbiano un debole per le opere a soggetto è noto: basti ricordare, spulciando nella discografia del duo, A Chance to Cut Is a Chance to Cure, creato nel 2001 utilizzando i rumori di alcune procedure chirurgiche, oppure The Marriage of True Minds del 2014, frutto di bizzarri esperimenti di comunicazione telepatica.
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Nella circostanza l’hanno fatta grossa però, reclutando 99 artisti di varia provenienza e invitandoli a suonare ciò che preferivano, a patto di rispettare la cadenza di 99 bpm: gli «esercizi aperti in forma di gruppo» cui allude il sottotitolo, appunto. Fra i convocati figurano collaboratori abituali, come J Lesser e John “Wobbly” Leidecker, strumentisti di estrazione accademica e sperimentatori radicali, scrittori e performer, studenti del corso Sound As Music tenuto da Schmidt al San Francisco Art Institute e persino un esponente nostrano, il veneto Andrea Giotto, mentre nel settore “celebrità” spiccano le presenze di Daniel Lopatin (Oneohtrix Point Never), Matthew Herbert, Mouse On Mars, Yo La Tengo e David Grubbs. Oltre a ciò, fra gli ingredienti non mancano le consuete registrazioni di strada: bambini che giocano in un villaggio delle Filippine, una toilette in Uzbekistan, insetti a Tokyo e via stravagando. Per mezzo di un processo di composizione stratificata, i due hanno combinato quindi i singoli contributi nell’imponente mosaico sonoro rappresentato in The Consuming Flame: chi avesse curiosità di conoscerne i dettagli può consultare il poster che lo riassume graficamente.
Poiché il totale sfiorava a quel punto le tre ore, si è deciso di lottizzarlo in altrettanti dischi, ciascuno definito da una propria intestazione e a sua volta sminuzzato in episodi, da un minimo di 13, nel conclusivo Extraterrestrial Masters, a un massimo di 16, per l’intermedio I’m on the Team, laddove l’apertura spetta ad A Doughtnut in the Sky. L’assortimento di registri espressivi messo in scena è quasi disorientante, fra astrattismo elettronico, schegge di jazz, folklore postindustriale, echi esotici, geometrie minimaliste, sketch vaudeville, ritmiche frastagliate e voci deformate attraverso il sense of humour che contraddistingue le imprese dei Matmos (qui apprezzabile in particolare nello scherzetto su Netflix architettato in Platformalism). Valgano da parziali esemplificazioni di tanta complessità i due segmenti pubblicati ufficialmente in rete con relativi video: il primo collocato poco dopo la metà del movimento iniziale e l’altro espiantato dal cuore del terzo.
A detta di Schmidt, ideatore del progetto, l’insieme è stato concepito per un’esperienza d’ascolto senza soluzione di continuità: «Tipo un viaggio in treno dentro un parco divertimenti». Ascolto non facile, in verità, ma a tratti esilarante e comunque avventuroso.