Massimo Donno Folk Club Band
Il cantautore Massimo Donno con la pugliese Banda de lu Mbroia, per il divertente Viva il re! (Squilibri)
Il progetto collettivo di Massimo Donno con la Banda de lu Mbroia, tra i migliori dischi del 2017, tra banda popolare e canzone d'autore
Con singolare paradosso, in un mondo ora dominato dall'assoluto primato dell'occhio e dell'immagine, la musica immagazzinata su supporti fisici (dunque di per sé predisposta a ospitare apparati iconografici che implementino il messaggio meramente musicale, o che comunque ne suggeriscano prospettive ulteriori) ne ha sofferto di più.
Se consumi musica liquida e digitale poi l’immagine te la devi andare a cercare, in sostanza, e non è detto che si inneschino circoli virtuosi. Se invece, ad esempio, ti capita sotto lo sguardo un cd in forma di corposo libretto come Viva il re!, a firma di Massimo Donno e la Banda de lu Mbroia, curiosità, interesse e voglia di andarsi ad ascoltare il contenuto fanno contemporaneamente una bella capriola in avanti. Sì, perché l'occhio coglie subito lo splendido omaggio “folk” alla colorata e frastornante copertina del beatlesiano Sgt. Pepper's.
C'è la grancassa, c'è l’erba, c'è la pletora di personaggi su più file. Che non sono figure celebri in libero assemblaggio, ma Lucilla Galeazzi, la pugliese Banda de lu Mbroia con tanto di fiati e percussioni, in diciannove, Gabriele Mirabassi gran signore dei clarinetti in jazz (e non solo), lo stesso titolare primo del disco. E un sardonico gatto che s'è lasciato riprendere sulla destra, sul prato. Ironia e rispetto, dunque: una veste dicotomica che sta proprio bene addosso alle intelligenti canzoni neo folk di Massimo Donno, in bilico esatto tra sostanziosi appoggi alla “tradizione”, inventiva a tutto campo, e ricerca di un common ground, una zona comune che possa far da ponte tra situazioni musicali diverse.
Non che siano mancati in Italia negli anni passati esperienze nel medesimo segno: si pensi ad esempio al seminale lavoro di Capossela con la Banda Ionica, prima di altre esperienze simili oggi a lui consuete. O al singolare tragitto tra radici musicali pugliesi e jazz contemporaneo di Pino e Livio Minafra. Bello, allora, che qualcuno ne abbia fatto tesoro, come Massimo Donno. E se ne sia ricordato, riannodando le fila di un percorso che è sì una sfida accidentata, ma che come ogni sfida ben affrontata garantisce risultati importanti, e grande musica. Quasi ovvio che la presenza di una voce “forte” come quella di Lucilla Galeazzi rafforzi il tutto, e che le volute arabescate e ficcanti del clarinetto di Gabriele Mirabassi impreziosiscano il tutto, a partire dai testi imprevedibili di Donno: ma altrettanto ovvio che la banda catalizzi energie e crei un affresco sonoro inimitabile, perché, come scrive nelle note Gioacchino Palma, “la banda dialoga con tutti, acconciando il linguaggio musicale – colto o popolare che sia, non importa – in modo tale che da tutti sia goduto, senza pretese elitarie o egemoniche”.