Lyra Pramuk la minimalista
L’emozionante debutto di Lyra Pramuk, Fountain: una Cathy Berberian addolcita dalla malinconia post punk dei Cocteau Twins
Lyra Pramuk definisce ciò che fa “musica folk del futuro” e anche se all’ascolto s’immaginino tastiere, archi e percussioni, unica materia prima impiegata è la voce: usata come strumento più che per formulare parole, poi manipolata attraverso il laptop.
Nell’infanzia in Pennsylvania era nel coro della chiesa ad accompagnare il quale provvedeva sua nonna al pianoforte e da adolescente ha perfezionato le proprie doti studiando canto al conservatorio, mentre subiva il fascino degli esperimenti “avant pop” di Björk. La risultante di tali vettori è condensata nel debutto discografico da solista, edito dall’indipendente islandese Bedroom Community, illustrato in copertina da un’opera dell’artista statunitense di origine boliviana Donna Huanca e intitolato con il vocabolo corrispondente al significato del cognome in lingua ceca, che segue un apprendistato basato su partnership con personaggi affermati, dalla compositrice Holly Herndon (in particolare nel recente e acclamato album PROTO) al coreografo multidisciplinare Colin Self (per l’installazione Siblings al MoMA di New York), e apprezzate performance individuali (in ottobre, al festival Unsound di Cracovia): attività frutto di una rete di relazioni intessuta dopo il trasferimento a Berlino.
La densità dei contenuti espressi in Fountain è evidente fin dall’episodio iniziale, “Witness”, dove su un bordone gregoriano eleva un’elegiaca melodia da contralto cui si somma quindi un loop minimalista, ostentando legami di parentela con Meredith Monk e Philip Glass.
Alternando registri differenti, dallo swing polifonico di “Tendril” alla solennità mistica di “Cradle”, Lyra Pramuk mette in mostra un’escursione vocale che va dal sopranile al baritonale non a scopo virtuosistico ma in maniera del tutto funzionale alla dimensione emotiva. Lo dimostra, in chiusura, “New Moon” con un’intensità lirica degna di Anohni.
In termini di ricerca formale, viceversa, segnaleremmo l’ammirevole costruzione di “Gossip”: brano che rimanda agli insegnamenti impartiti oltre mezzo secolo fa da Steve Reich in Come Out.
Come una Cathy Berberian addolcita dalla malinconia post punk dei Cocteau Twins di Liz Fraser, per citare esempi che dice di aver fatto suoi, Lyra Pramuk conquista così la ribalta con grazia e autorevolezza: facile pronosticare che vi rimarrà a lungo.