L'organetto totale di Pierpaolo Vacca

Esordio su disco per l'organettista Pierpaolo Vacca, dalle tradizioni sarde al mondo

Pierpaolo Vacca
Disco
world
Pierpaolo Vacca
Travessu
Tûk Music
2024

Lo avevamo visto sul palco di Tango Macondo, con la regia di Giorgio Gallione. Spettacolo saturo e stipato, eccessivo e ridondante: come aveva da essere, perché concentrare in poco più di un’ora Sardegna mitica, Colombia del realismo magico che fu e Brasile che ancora innerva i sogni richiede eccesso e ridondanza, perfino nelle scelte scenografiche: colorate e cangianti, in perenne mobilità.

Su quel palco, e poi sulle tracce del disco omonimo di Paolo Fresu c’era un organettista che irrompeva sulla scena con una forza perentoria, apodittica. Aveva suono e classe, presenza e forza espressiva.

L’organetto è uno strumento importante nella storia delle musiche di tradizione italiane. Condivide con launeddas, chitarre e altri strumenti la responsabilità tutt’altro che leggera di dar ali alle danze tradizionali. Bisogna aver appreso molti trucchi e modi di porgere la musica, possibilmente da un maestro, o una scuola di maestri, che abbiano usato poche parole, e molta pratica nel far vedere come devono guizzare dita e mani, polso e braccia, a sostenere il piccolo mantice che può sprigionare una forza affollettata.

Pierpaolo Vacca era l'organettista sul palco e in studio con Paolo Fresu. Adesso, nella serie Etno Tŭk che costituisce l'ennesima, interessante “variazione sul tema” dell'etichetta con la direzione artistica di Fresu stesso, arriva un disco magnifico e imprevedibile proprio a firma di Pierpaolo Vacca, il suo primo da solista, Travessu.

Diciamo subito ai cacciatori di reliquie folcloristiche che se cercano mero repertorio etnomusicologico sono (parzialmente) fuori strada. Qui è all'opera la “tradizione” che accorpa entrambi  i noti e dissonanti significati della radice verbale della parola, trado: “affido”, e dunque garantisco una continuità di sapere pratico nella catena generazionale, e al contempo “tradisco”, dunque “ mi prendo tutta la libertà del caso, non per questo dovendomi sentire un Giuda degli ottavi e dei sedicesimi danzanti.

Una sorpresa, si diceva, e si coglie sin dall'inizio, con "Danzas / Sardstep", con l'innesto di voci radiofoniche d’epoca a spezzoni, e la battuta elettronica che entra senza sforzo, lo scratch, i synth di Dj Cris. "Tziu Soddu" apre uno spaccato da vertigine sul canto a tenore, per finire in maestosa e mesta coda per organetto e chitarra elettrica, quella di Fabio Calzia.

"Ballu Travessu" aggiunge il wha wha al respiro del mantice, ed è uno spasso, "Cappotto" vede l'apporto di Dino Rubino al pianoforte, e sembra di sentire una Penguin Cafe Orchestra trasferita in Sardegna e incuriosita dal jazz.

"Campid Afro" “apre” al tama, il tamburo parlante dell'area attorno al  golfo di Guinea, tra le mani sicure di Pape Ndiaye a dialogare con l'organetto, "Sa Hesta  ‘e Santu Predu" filtra invece lo strumento di Vacca tra mille trucchi efficaci.

Siamo a metà disco: "Vinza Manna" è un duetto organetto – pianoforte di malinconica urgenza, "Ispossoriu" sembra quasi calcare le orme di un lament gaelico, per poi instradarsi verso una danza composta efficace e diretta, a preludio di un finale tutto a danza, e tutto ricavato da repertori orali, e tutto puro organetto:  Dillu, Ballu Tzoppu, Passu Torrau, Ballu Tundu, Danza.

Quasi a voler dire: ho iniziato con le sorprese, adesso arrivano le  mie rassicurazioni di giovane maestro cresciuto a Ovodda, in provincia di Nuoro, nipote di un suonatore di launeddas, un organetto già tra le mani a sei anni, a seguire le dita di “Tziu” Peppino Deiana, da Sarule.

Per il resto, davvero, tra combat folk, Sardegna e Senegal, mille feste di piazza e, oggi, Travessu, è conseguenza.

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