L’estasi di Caterina Barbieri
In Spirit Exit la produttrice italiana ambienta poesia e misticismo in una dimensione “post-umana”
Caterina Barbieri dimostra con Spirit Exit di aver saputo trarre beneficio dalle avversità. Costretta all’isolamento nel proprio appartamento milanese durante il primo lockdown, è riuscita a concepire e realizzare là l’opera finora più ambiziosa del suo curriculum discografico. Nel farlo, ha tratto ispirazione dall’esperienza di recluse per vocazione o carattere: Teresa D’Avila, di cui cita in particolare il testo del 1577 Il castello interiore, ed Emily Dickinson, rievocata in The Landscape Listens – che conclude la sequenza su un registro ambient dolente e meditativo – da uno scorcio della poesia “C’è una certa inclinazione di luce”, dove appunto “il paesaggio ascolta”.
Menziona poi un’altra donna fra le stelle polari che l’hanno guidata nel cammino creativo: la filosofa femminista Rosi Braidotti, autrice del saggio “Il postumano”. Immaginiamo sia perché dà fondamento teorico alle idee da lei espresse a proposito delle macchine come “estensioni del corpo umano”.
Dopo aver seguito il percorso accademico al conservatorio di Bologna, appassionandosi alle musiche rinascimentali ma cedendo in compenso all’attrazione fisica per il metal rumorista, si era dedicata allo studio dei sintetizzatori modulari, applicandosi al Buchla 200: «Un oracolo meccanico», si è trovata a dire. Da lì ha preso slancio e identità la sua avventura musicale, culminata in un paio di lavori che l’hanno resa visibile su scala internazionale: il doppio del 2017 Patterns of Consciousness per l’indipendente d’oltreoceano Important Records ed Ecstatic Computation, edito nel 2019 dalla viennese Editions Mego.
Spirit Exit esce invece con il marchio personale Light-Years ed è perciò speciale. Più ancora, tuttavia, conta la sostanza che contiene: intrinsecamente coerente, poiché – a differenza dei precedenti, elaborati in modalità work-in-progress – frutto di concezione unitaria (effetto collaterale della segregazione forzata). Per produrlo, Barbieri ha ampliato il ventaglio degli strumenti impiegati: accanto alle apparecchiature elettroniche ecco dunque – benché filtrati – pianoforte, chitarra elettrica e archi. Questi ultimi, ad esempio, affiorano nell’episodio d’apertura: “At Your Gamut”.
Novità di maggiore rilievo è però l’uso della voce, che in “Transfixed” gorgheggia in cerca di una melodia arcaica e in “Canticle of Cryo” formula frasi compiute, per quanto di ardua decifrabilità (“Tu sciogli il tempo, sciogli i cieli, sfidi i secoli”, s’intuisce a un certo punto), incalzata da un avvincente crescendo minimalista. Accade lo stesso nell’elegiaca “Broken Melody”, che esordisce minacciosa (“Anche se te ne sei andato, ti perseguiterò”) per sfociare in un idillio esistenzialista (“Come un fiocco di neve che si scioglie in bocca, il nostro futuro è così volatile”).
A precedere quella traccia, la più breve del lotto, è viceversa la più estesa, oltre la soglia dei dieci minuti: “Knot of Spirit”. Curioso – considerato il peso attribuito nella circostanza all’elemento vocale – che si tratti della versione strumentale di un brano dalla solennità liturgica affidato in origine al canto lirico di Lyra Pramuk. Al polo opposto, in termini emotivi, è collocato “Terminal Clock”: due passi appena dall’ingresso in un rave, tanto accentuato è il traino ritmico.
Affine per sensibilità e gusto alle imprese del connazionale Lorenzo Senni (con lei nel trio Forse Ora) e – guardando altrove – prossimo all’estetica da Barocco dell’Iperspazio di Oneohtrix Point Never (analogia qui evidente in “Life at Altitude”), Spirit Exit è un disco dotato di fascino austero, ma non per questo anaffettivo.