L’elettronica “neo classica” di Nils Frahm
Il compositore tedesco esplora nuove frontiere in All Melody
Musica d’ambiente. Non nel senso tradizionale della destinazione d’uso, bensì alludendo al contesto dov’è stata generata. Il nuovo lavoro del trentacinquenne artista tedesco, settimo in assoluto e quinto marchiato dall’indipendente britannica Erased Tapes, specializzata in “neo classica”, ha origine nello studio di registrazione Saal 3, da lui autocostruito in un’ala della Funkhaus di Berlino, in riva alla Sprea, un tempo sede della radio di stato in Germania Est.
A testimoniarne l’importanza avuta nella definizione dell’opera è l’immagine esposta in copertina, che lo ritrae: l’autore è appartato, quasi sullo sfondo, e armeggia con un sintetizzatore.
Al solito, la produzione di Nils Frahm è frutto della dialettica fra macchinari elettronici e strumenti acustici: questa volta, però, enfatizzando ciascuna componente. Da un lato si amplia la dotazione per così dire “naturale”: ecco allora l’ensemble vocale londinese Shards (fin dall’iniziale “The Whole Universe Wants to Be Touched” e poco dopo nell’ammaliante “A Place”), gli archi e una tromba, impugnata dall’austriaco Richard Koch, che conferisce accenti jazz a brani come “Human Range” e “Fundamental Values”. Dall’altro, molto più di quanto sia stato mai in passato, le ritmiche “artificiali” occupano il centro della scena: il lungo episodio che dà titolo al disco e il successivo “#2”, praticamente un sequel, si collocano a un passo dalla frontiera della techno, alla maniera di Nicolas Jaar.
Risultante dei due vettori può essere considerato “Sunson”, anch’esso tassello di vaste proporzioni: al solenne bordone disegnato in apertura dall’organo a canne subentra con eleganza un garbato groove da club. La qualità dell’habitat sonoro in cui si sono svolte le operazioni è certificata da “My Friend the Forest”, dove del pianoforte manovrato dal protagonista si colgono persino il battito dei martelletti e la pressione del piede sui pedali: elegiaco acquerello che illumina il versante intimista di All Melody, mentre il vortice minimalista modello Philip Glass nel quale si avvita “Kaleidoscope” tende a descriverne viceversa le ambizioni orchestrali.