Le voglie di Hilary Woods

In Birthmarks l’artista irlandese Hilary Woods esplora il lato oscuro della maternità

Hilary Woods - Birthmarks
Disco
oltre
Hilary Woods
Birthmarks
Sacred Bones
2020

Titolo e immagine di copertina di questo Birthmarks di Hilary Woods sono eloquenti: si parla di voglie e gravidanza. Tuttavia l’approccio a quella fase dell’esperienza femminile non è affatto gioioso, nella circostanza. Basti notare il verso d’apertura dell’ombrosa ballata “Orange Tree”: “Sono spaventata, sta crescendo dentro di me”.

Senza arrivare agli eccessi cinematografici di Rosemary’s Baby o Eraserhead, l’avventura della maternità viene affrontata in maniera problematica dalla trentanovenne irlandese Woods: un passato indie rock nei JJ72, band di discreto successo al principio degli anni Zero, cui dopo un periodo sabbatico è seguito un percorso individuale segnato nel 2018 dall’unico album precedente, Colt. Se allora l’umore espressivo indugiava su un elegante folk a dimensione domestica, questa volta i medesimi codici sono stati rielaborati in chiave gotica e “industriale” ricorrendo all’intervento del produttore e filmmaker norvegese Lasse Marhaug, solito a bazzicare i circuiti del jazz radicale e del metal rumorista. L’effetto è impressionante all’ascolto, fin dall’iniziale “Tongues of Wild Boar”, conturbante cantilena su cadenza funerea.

Il fascino della messinscena risiede appunto nell’accostamento fra la vulnerabile limpidezza delle melodie vocali, sovente sussurrate o bisbigliate, e la cupa densità degli arrangiamenti: il greve bordone di violoncello in “Lay Bare”, le note basse di sintetizzatore analogico in “Cleansing Ritual”, un sassofono dolente in “Mud and Stones”, il pianoforte spettrale nella conclusiva “There Is No Moon”. Esemplare testimonianza dell’efficacia di tale simbiosi è l’inquietante “The Mouth”, prossima all’avant-garde cameristica sperimentata da Scott Walker nell’ultimo tratto di carriera.

Più di ogni altra cosa, comunque, a conferire peso specifico alla narrazione di Birthmarks è il contesto in cui l’opera è stata concepita e registrata: durante la gestazione del secondogenito dell’autrice. Assistiamo dunque a una travagliata indagine introspettiva sulla “nascita del sé”, per usare parole sue: le emozioni contrastanti di una madre che alleva nel ventre una vita nuova. Rievocando i propri trascorsi da pittrice, Hilary Woods ha affermato di essersi ispirata ai dipinti di Francis Bacon e alle fotografie di Francesca Woodman, più che a fonti musicali: «Restituisco ciò che l’arte mi ha dato», ha dichiarato in un’intervista per spiegare il senso del lavoro compiuto.

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