Le avventure di Madlib e Four Tet

L’asso dell’hip hop statunitense sforna Sound Ancestor, disco "maiuscolo" in coppia con il produttore Four Tet

Madlib Four Tets Sound Ancestors
Disco
pop
Madlib
Sound Ancestors
Madlib Invazion
2021

Un album elaborato nell’arco di un biennio, ma frutto di un’amicizia lunga due decenni, questo Sound Ancestors della coppia Madlib / Four Tet. «Musicalmente siamo connessi, lui mi conosce e io lo conosco: di fare un disco insieme ne abbiamo discusso per anni», ha dichiarato Otis Jackson Jr., in arte Madlib, a proposito della relazione che lo lega  a Kieran Hebden, alias Four Tet.

– Leggi anche: Le albicocche dei Bicep

Ciò a dispetto delle appartenenze differenti: il primo esponente riveritissimo – ancorché elusivo – dell’hip hop statunitense, il secondo fra le intelligenze più vivaci e non convenzionali della scena elettronica d’oltremanica. Spiega in maniera eloquente la natura di questa partnership Eothen Alapatt, implicato nell’etichetta Madlib Invazion e direttamente coinvolto nel progetto: «Come Gil Evans con Miles Davis, Holger Czukay nell’ensemble chiamato Can o Jean-Claude Vannier in History of Melody Nelson di Gainsbourg». Qualcosa più di un semplice produttore, insomma, Four Tet per Madlib: selezionando il materiale dalle centinaia di frammenti sonori recapitatigli dal socio, ne ha valorizzato l’essenza.

E dunque come suona Sound Ancestors? È una di quelle opere che i maniaci dei rare grooves – quali sono appunto i protagonisti – realizzano componendo a mosaico un’infinità di tasselli dalle origini disparate, sulla falsariga del capostipite della specie, ossia Endtroducing… di Dj Shadow. L’effetto è a tratti spettacolare per l’ingegnosità combinatoria: ad esempio in “Latino Negro”, dove a un lavorio jazzistico di spazzole sui tamburi si sovrappone un arpeggio di chitarra flamenca, oppure in “Dirtknock”, quando su un classico “boom bap” da vecchia scuola s’intromette un disorientante inserto in arrivo da un altro pianeta (per l’esattezza il post punk esistenzialista degli inglesi Young Marble Giants, da “Searching for Mr. Right”).

Anche le altre voci che affiorano durante la sequenza scaturiscono da solchi discografici: dal cantilenante ragazzino africano in “Duumbiyay” all’irresistibile corale soul (fonte: The Ethics, quartetto antesignano del Philly Sound) impiegata in “Road of the Lonely Ones”.

Allo stesso modo è vasto ed eterogeneo il campionario delle inflessioni stilistiche di volta in volta richiamate all’orecchio dell’ascoltatore: l’episodio che dà titolo alla raccolta è introdotto da un vortice di percussioni salvo sconfinare poi in ambiente free jazz, mentre in “Loose Goose” e soprattutto “Theme de Crabtree” si percepiscono vibrazioni profonde da camere d’eco di Kingston.

La densità degli argomenti musicali snocciolati nel corso di nemmeno tre quarti d’ora è impressionante e ogni singola traccia – per quanto breve sia: le più estese superano di poco i tre minuti e mezzo – rappresenta un’avventura a sé.

L’occasione era speciale, del resto: si tratta infatti del primo album firmato dal 47enne Jackson con lo pseudonimo standard Madlib, escludendo cioè il trittico targato Quasimoto e quello attribuito alla one-man band jazzistica Yesterdays New Quintet; un autentico paradosso considerando la proverbiale fecondità del personaggio (basti ricordare la serie di mixtape “Medicine Show”, giunta a quota 13). Benché attribuito a lui soltanto (Hebden risulta esserne editor e arrangiatore), Soul Ancestors fa rivivere nello spirito, se non nella forma, le sue precedenti collaborazioni con altri pesi massimi dell’hip hop sotterraneo quali i compianti MF Doom e J Dilla, qui destinatario di dedica esplicita in “Two for 2”.

Ha detto bene Four Tet, commentandone la pubblicazione in questi giorni difficili: «In un periodo in cui tutto è fragile e ridimensionato, proporre un disco maiuscolo come questo sembra una cosa eccellente da fare».

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