L’autenticità sintetica dei Mouse On Mars
Il duo tedesco sperimenta con l’Intelligenza Artificiale nel nuovo album AAI
L’Intelligenza Artificiale è soggetto con cui ci si comincia a confrontare anche in ambito musicale. Dopo l’album PROTO della statunitense Holly Herndon e la popstar virtuale Yona, messa in scena nel 2019 al Barbican di Londra e al festival “Mutek” di Montréal dal produttore di origine iraniana Ash Koosha, ecco adesso il nuovo lavoro dei tedeschi Mouse On Mars, che dichiara già nel titolo – acronimo di Anarchic Artificial Intelligence – la propria natura.
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Da un abbondante quarto di secolo esploratori eclettici del suono elettronico, Jan St. Werner e Andi Toma si sono avventurati nell’esperimento dotandolo di un solido apparato culturale, fondato sull’impianto narrativo ordito dall’accademico afroamericano Louis Chude-Sokei, mentre al contenuto tecnologico hanno provveduto il collettivo Birds On Mars e due ex programmatori di Soundcloud, creando un software di autoapprendimento alimentato dalle voci dello stesso Chude-Sokei e della Dj e produttrice Yağmur Uçkunkaya.
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Il progetto è stato articolato inoltre attraverso un’installazione realizzata per la sezione “Cyberia” del berlinese “CTM Festival”, visibile online fino a metà marzo e anticipata da un trailer a cura di “Fact Magazine”.
Premesso tutto ciò, si tratta pur sempre di un disco destinato al vaglio dell’ascolto. In coda al breve preludio “Engineering System” e annunciato da un botto rumorista, “The Latent Space” apre la sequenza con l’incalzante vortice di percussioni generato da Dodo Nkinshi, abituale collaboratore del duo.
La suggestione “afrofuturista” di quel brano fa tornare in mente “I Zimbra” dei Talking Heads, ouverture di Fear of Music. La paura affrontata qui riguarda invece la presunta minaccia rappresentata dall’AI, alla quale St. Werner oppone questa convinzione: «Le macchine possono schiudere nuove prospettive di vita ed espandere le nostre definizioni di essere umano». Affermazione che riecheggia il filosofeggiare pionieristico dei Kraftwerk ai tempi di The Man Machine: “Artificial Authentic” sembra volerne rievocare lo spirito, incrociandolo con la genialità techno funk dei Daft Punk (R.I.P.).
È di gran lunga l’episodio maggiormente “pop” della raccolta, che altrove – in “Thousand to One” e “Go Tick” – pare ammicchi viceversa ai loop vocali congegnati a metà anni Sessanta da Steve Reich. Analogie comunque assai relative, considerata l’attitudine ardimentosa con cui i Mouse On Mars hanno affrontato l’impresa, mettendo in conto il fattore anarchico costituito dall’arbitrio del convitato digitale.