L'afrofuturismo giamaicano di groundsound
Un esaltante progetto musicale fra riddim e spoken poetry per ridefinire la percezione della Giamaica
Secondo la definizione presente sulla pagina Bandcamp groundsound è una partnership afrofuturista guidata da un messaggio tra Gavsborg, la mente musicale dietro al progetto Equiknoxx, e Riddim Writer, artista della parola e analista culturale che si ritaglia un ruolo paragonabile a quello di Moor Mother all’interno degli Irreversible Entanglements.
Il duo spera di liberare la maniera in cui gli ascoltatori sentono, pensano e capiscono la Giamaica, la sua gente, la sua musica e la sua cultura.
Una copertina coloratissima – radici s’infilano nel terreno dove vivono forme mistiche; al di fuori del suolo fertile sound system risiedono sui rami degli alberi, mandando in onda le misteriose correnti sotterranee destinate al mondo – fa il resto e il gioco è fatto: la mia curiosità è conquistata e voglio solo immergermi nei suoni di Working Progress – suona come lavoro in corso ma in realtà è progresso al lavoro. Un tuffo di un’ora all’interno di dub, broken beat e dancehall futurista, musica per i piedi e per la testa.
I due hanno già collaborato una prima volta nel 2019 ma Working Progress è la loro prima volta sulla lunga durata, definita da Riddim Writer come «broken beat che incontrano lo spazio nero, la memoria che incontra la magia e la decolonizzazione che incontra il dub».
Gavsborg – vero nome Gavin Blair – ha trascorso gli ultimi due decenni a cambiare la percezione che il mondo ha della musica giamaicana, mentre Riddim Writer – vero nome Isis Semaj-Hall –, in quanto ricercatrice ed educatrice, ha usato la propria voce per sviluppare la condivisione e la comprensione della cultura della diaspora caraibica e di quella africana.
«Sono una femminista decolonizzatrice e un’analista culturale con una pratica creativa che è nutrita dal suono» - Isis Semaj-Hall, Ph.D., aka Riddim Writer
Come già ricordato, i due hanno già collaborato cinque anni fa per una singola canzone che analizzava come l’alienazione africana fosse sopravvissuta sia nel ritmo sia nella memoria nell’entroterra della Giamaica – episodio incluso nell’EP di Gavsborg Kevin from Ivory Coast che vedeva anche la partecipazione della vocalist Shanique Marie. È stata magia immediata nella loro sinergia, entrambi capaci di nutrire le rispettive radici musicali ed estetiche. Il progetto groundsound è nato dal loro mutuo desiderio di creare musica che fosse interattiva, arte sonora sociale.
L’album, reso pubblico il 29 febbraio, è stato preceduto di qualche giorno dal singolo “Trod”, definito da Isis «a roots meditation».
I due danno vita a un paesaggio naturale immersivo: vento, sussurri e acqua sono palpabili, sembra di poterli toccare. I testi riflettono sul quotidiano e provocano il politico: perché il processo di richiesta di un visto è così invasivo? Che cos’è l’obeah? La dancehall può focalizzarsi sulla queerness? groundsound eccita il corpo fino a farlo annuire, ondeggiare e ribollire alla melodia del messaggio.
Non so se avete avuto modo di vedere Upon entry, la pluripremiata opera prima della coppia ispano-venezuelana Alejandro Rojas e Juan Sebastián Vásquez: basato sulle esperienze personali degli emigranti, il film segue la storia di Diego (venezuelano) ed Elena (spagnola), una coppia che decide di trasferirsi negli Stati Uniti dopo aver convissuto a Barcellona.
Tuttavia il loro piano di iniziare una nuova vita si scontra con le autorità all’arrivo all’aeroporto JFK. Soggetti a un rigoroso processo di ispezione, compreso un interrogatorio psicologicamente pesantissimo, il loro destino è in bilico fino alla scena finale. La precisione nei dettagli, la credibilità dei personaggi e delle situazioni trasmettono allo spettatore il mondo emotivo della coppia al bivio, con tutte le sfumature di paura, smarrimento, incertezza e impotenza all’interno di una vicenda kafkiana. Upon entry affronta i temi della paura dell’altro, del razzismo, dell’abuso di potere e dell’insensatezza della burocrazia, mettendo in luce la nostra vulnerabilità di fronte a tali situazioni.
Perché parlo di questo film? Perché mi è venuto in mente ascoltando il secondo brano di questo disco, “Visa”, in cui una custom officer pone mille domande - alcune delle quali prive di senso – a un uomo richiedente un visto, dialogo che si svolge su una rielaborazione del riddim che Sly & Robbie idearono nel 1980 per la versione di “Baltimore” di Randy Newman affidata a The Tamlins.
Ascoltatela, è già una delle canzoni che segneranno il 2024.
«Mi need a visa, visa, visa, mi need a visa fi reach yah, mi need a visa fi sleep yah, mi need a visa fi see yah, mi need a visa fi speak to yah» - Visa
Nella canzone d’apertura “Obeah 5 Train with Earth and the Fullness” la pratica rituale caraibica dell’Obeah diventa un’imbarcazione da trasporto nella tradizione afrofuturista. Riddim Writer declama una spoken word poetry su una chitarra strimpellata gentilmente con voce piena di risolutezza e calma. Lei descrive una scena immaginaria sul treno del titolo con «signore nere dai capelli grigi vestite con abiti bianchi da Santeria» su questo «soul train di altro tipo».
La presenza di Riddim Writer aiuta a tenere insieme un concept album privo di limiti, a parte essere dannatamente caraibico (per alcuni potrebbe essere un limite, non certo per me). La produzione porta il riconoscibilissimo marchio di Gavsborg, quindi tutto secondo le regole, e allora alla fine è proprio Riddim Writer a misurarsi con la versatilità: lei sa interpretare la persona alla moda (“Tricky,” un pezzo da club), la poetessa (il già citato “Visa,” un pezzo dub che affronta le offese dei sistemi d’immigrazione con lo sdegno e l’ironia che si meritano), o l’MC principale (“Equal Righters,” un appello per l’uguaglianza in chiave house-pop).
Quale che sia la maniera, Riddim Writer trasforma la sua comprensione accademica del linguaggio in una accessibile che vive perfettamente nello spazio creato dalla musica.
«Ogni brano è un invito a ballare lo skank, a volteggiare e a scivolare con noi attraverso il tempo»: la genialità di Working Progress risiede nel far sentire unico ognuno di questi inviti e nel legarci immediatamente agli interessi e alle tradizioni che evocano. Un amico ha definito questo disco la versione dancehall (e molto altro ancora) di Black Is dei Sault: magari è un’affermazione dettata dall’entusiasmo dopo il primo ascolto e quindi leggermente esagerata ma…sì, siamo da quelle parti, l’attitudine è paragonabile, giusto per far capire in quale territorio ci stiamo muovendo.
Una cosa è certa: Working Progress è una celebrazione senza confini della storia caraibica.