Kevin Morby, fotografie da Memphis
Il nuovo album del cantautore statunitense Kevin Morby, This Is a Photograph, rende omaggio alla città del Tennessee
La biografia di Kevin Morby disegna l’itinerario di un viaggio negli States: nativo del Texas, cresciuto nei dintorni di Kansas City e allevato artisticamente nel sottobosco newyorkese, Morby si è stabilito infine a Los Angeles, ma per dar forma al nuovo lavoro, This Is a Photograph, settimo in una serie avviata nel 2013, ha compiuto un pellegrinaggio a Memphis, capitale morale della musica d’oltreoceano.
“Sono su al Peabody, stanza 409”, racconta in “It’s Over”, deliziosa ballata scandita dal pianoforte e resa preziosa dal controcanto di Cassandra Jenkins, riferendosi allo storico hotel intorno al quale gravitava la scena cittadina nell’era dello swing. Un duetto con voce femminile, in questo caso appartenente a Erin Rae, caratterizza anche “Bittersweet, TN”, dove – su un’intrigante linea di banjo – del luogo viene enfatizzato appunto il carattere “agrodolce”. All’epica grandezza di alcuni suoi simboli, dai Sun Studios in cui sbocciò la leggenda di Elvis alla luccicante officina soul della Stax, si contrappongono infatti vestigia di tragedie tipo Graceland, tomba di Presley, e il Lorraine Motel, associato all’assassinio di Martin Luther King.
Al centro del disco sta però un altro lutto: “Se vai a Memphis, per favore non nuotare nel Mississippi, e se devi, se lo fai, togliti la giacca e gli stivali”, ammonisce amaramente su languida cadenza blues “Disappearing”. Morby allude evidentemente alla scomparsa di Jeff Buckley, citato in modo esplicito nell’episodio successivo, “A Coat of Butterflies”, nobilitato al sassofono da Cochemea Gastelum (Dap-Kings) e alla batteria da Makaya McCraven: “Ehi amico, hai sentito Buckley cantare ‘Hallelujah’? Ha fatto ciò che Leonard non ha mai potuto fare, le ha dato le ali e l’ha lasciata andare”. E subito dopo l’energico riff elettrico di “Rock Bottom” chiama in causa – per ammissione dell’autore – Jay Reatard, sventurato eroe underground locale.
All’alone spettrale conferito all’opera dai fantasmi evocati non corrisponde tuttavia un tono mesto: si tratta piuttosto di una pacata riflessione sullo scorrere del tempo, “imbattuto campione dei pesi massimi”, com’è definito nel brano che dà titolo all’album.
“Questa è una fotografia, una finestra sul passato, con tuo padre sul prato davanti a casa, senza camicia, pronto ad affrontare il mondo, sotto il sole del Texas occidentale”, dicono i versi iniziali di quella canzone.
All’epilogo, in “Goodbye to Good Times”, fa capolino viceversa la figura materna: “Quando aveva 19 anni e ballava su Tina Turner”. La sfera degli affetti influenza pure “Stop Before I Cry”, dichiarazione d’amore indirizzata alla compagna Katie Crutchfield, musicista anch’ella (da noi conosciuta con lo pseudonimo Waxahatchee): “Quando canti per me è come una melodia che scende dalla montagna, che esce dal mare”. In definitiva, This Is a Photograph è esattamente il “casuale atto di gentilezza” descritto in uno dei brani maggiormente ambiziosi della raccolta per opulenza orchestrale e pathos emotivo.
Non sarà forse un capolavoro, poiché il trentaquattrenne Kevin Morby non ha stimmate da fuoriclasse, ma costituisce certamente l’apice della sua carriera discografica e all’ascolto scorre senza alcun cedimento, zigzagando in maniera disinvolta fra i canoni della tradizione americana. Un artista in stato di grazia, insomma: lo si potrà ammirare dal vivo a inizio luglio in un paio di appuntamenti previsti a Bologna e Terni.