Katy Kirby, zirconi cubici e amori queer
Blue Raspberry è il secondo album della cantautrice statunitense Katy Kirby
Nata in Texas, cresciuta a Nashville e residente ora a New York, la ventottenne Kathryn Ellison Kirby – Katy Kirby sul palco e sui dischi – è cantautrice di valore.
Lo aveva dimostrato all’esordio, tre anni fa, con l’apprezzato Cool Dry Place: lasciapassare verso l’indipendente californiana che ne diffonde adesso il seguito.
Frattanto è avvenuto qualcosa nella sua vita e qui lo testimonia “Cubic Zirconia”, dichiarazione d’amore queer: “Quasi magicamente sono stata in grado di accettare quella parte di me, agendo di conseguenza e godendomela”, spiega lei stessa. D’intensità folgorante i versi che la descrivono: “Il viso incorniciato dalla felpa con cappuccio come ostrica in una conchiglia, i tuoi occhi mi guardano come un paio di perle arrabbiate, sei la sirena più graziosa nel negozio di souvenir”.
La zirconia cubica è una pietra artificiale impiegata in gioielleria come succedaneo del diamante: prodotto sintetico al pari del Blue Raspberry cui l’album è consacrato, colorante e aromatizzante usato nell’industria dolciaria.
Nel brano omonimo, una ballata dalla vaga inflessione country, Kirby canta: “La fisionomia della sua figura comincia a emettere una fluorescenza che sembra abbia assorbito dalle lampade del laboratorio nel quale sicuramente è nata”, dopo aver dichiarato la propria sottomissione (“Sto sotto il suo tacco come zucchero candito, schiacciata fino a scintillare, spalmata sul cemento”).
Di tutte le qualità di cui dispone, il trasporto immaginifico dell’esposizione è forse la più rilevante. In “Salt Crystal”, ad esempio, sulla traccia disegnata dal pianoforte, la voce torna alla metafora chiave: “Bambolina di zirconia cubica, non capisco perché tutti i frammenti del tuo bicchiere da cocktail non valgono quanto i diamanti”.
I temi sono dunque ricorrenti e conferiscono coerenza narrativa all’insieme: “È una specie di puzzle”, conferma l’interessata. Ravvivano la messinscena alcuni guizzi di verve umoristica: il “bombardamento a tappeto di estrogeni” in “Wait Listen” (dove poi la si ascolta dire: “Nuda sembro proprio un Rembrandt”), oppure gli “indici di massa corporea e acidi ialuronici” snocciolati durante “Drop Dead”.
Musicalmente il disco ostenta maggiore ambizione rispetto al precedente: compaiono così fiati, tipo un timido clarinetto nell’iniziale “Redemption Arc”, e archi, in particolare il violoncello che sottolinea l’umore ombroso di “Alexandria” e asseconda la pacata malinconia di “Party of the Century”, prima della resa dei conti finale (“Siamo la festa del secolo, che ti rende simile a un tramonto, a una tempesta di neve, a una siccità, a una guerra”).
Cronaca di una transizione dalla sfera eterosessuale, cui allude con amarezza “Fences” (“Ogni volta che si accende, ti avventi sulla manopola per spegnerlo”), a una nuova dimensione tutta da esplorare, Blue Raspberry riserva all’epilogo il ricordo dell’educazione evangelica impartitale dai genitori nell’infanzia: attraverso il rituale del pranzo domestico, “Table” rievoca – parole sue – “un passato infestato da Dio”.
L’accento della canzone sfiora l’indie rock, facendo somigliare l’autrice a una sorella minore di Adrianne Lenker dei Big Thief, quando altrove può sembrare invece cugina di Feist: non sarà magari una fuoriclasse, ma Katy Kirby si mostra nondimeno dotata d’indiscutibile talento.