Julia Holter, la Sibilla di Los Angeles
Il nuovo album della cantautrice statunitense Julia Holter, Something in the Room She Moves
Seguiamo diligentemente l’avventura artistica di Julia Holter, fra le voci più originali e sensibili del canone contemporaneo. Compositrice e interprete californiana che secondo la tassonomia nostrana andrebbe schedata nel reparto “cantautrici”, ricava la propria cifra espressiva da una combinazione armoniosa fra i trascorsi accademici e l’impulso istintivo.
– Leggi anche: Julia Holter, la ricerca di una musica che non c’è
«Il mio approccio è in generale piuttosto infantile e primitivo», ha confessato – intervistata da “The Quietus” – alla vigilia dell’uscita di Something in the Room She Moves, suo sesto album effettivo, distante quasi sei anni dal precedente Aviary, dopo il quale aveva firmato la colonna sonora del film Mai raramente a volte sempre (Orso d’Argento alla Berlinale nel 2020) e la sonorizzazione del classico di Carl Theodore Dreyer La passione di Giovanna d’Arco con il coro dell’Opera North di Los Angeles (2022).
La realizzazione del disco è stata rallentata dagli effetti della pandemia e – soprattutto – dalla nascita della figlia primogenita: quest’ultimo evento, in particolare, ne ha influenzato il carattere, insieme alla prematura scomparsa di un giovane nipote, ricordato nella dedica.
La vita e la morte, insomma: moventi emotivi più viscerali rispetto alle sponde letterarie utilizzate in passato, dall’Ippolito di Euripide in Tragedy (2011) a Gigi di Colette e relativo musical cinematografico in Loud City Songs (2013). Il brano che dà titolo all’intero lavoro, parafrasando un verso dei Beatles da Abbey Road, descrive ad esempio con intonazione insinuante un quadretto domestico fatto di “buffet domenicale” e “meraviglia frenetica” su accordi sparsi di piano elettrico e controcanto di ance.
Quel vago aroma jazzistico trapela già dall’iniziale “Sun Girl”: ballata dalla consistenza onirica (“I miei sogni mentre sogno in giallo dorato”) condotta da un basso gommoso e punteggiata dagli svolazzi del flauto.
La temperatura scende nell’atmosfera fatata del seguente “These Morning”, intessuto al Wurlitzer e ricamato da una tromba in sordina: “I miei giorni nel gelo della notte, troppo a lungo fuggiamo qui in un’anonima cascata di ghiaccio”, canta cristallina.
Al solito, la poetica dei testi è sibillina: “Ho una relazione strana con le parole, mi viene molto più facile con il suono, perciò le parole che lo accompagnano spesso sono soltanto suoni pescati nel mio subconscio”, ha spiegato a “Uncut”.
Ecco allora l’enigmatico interrogativo posto in falsetto durante il diafano madrigale “Materia” (“Si può ingannare un mare misterioso?”) e l’altro appena meno criptico (“Cos’è la magia circolare che sto visitando?”) al culmine di “Spinning”, bizzarro valzer meccanico con ghiribizzi sintetici e aleggiare di fiati consacrato alla consultazione dell’I-Ching: “Non mi aspetto nulla e cerco tutto, i segni dicono che io credo nella notte che respira da sola”.
La matassa si sbroglia all’approssimarsi dell’epilogo: prima della rassegnata constatazione affidata a “Talking to the Whisper” (“L’amore può essere sconvolgente”) e dell’esplicito sentimentalismo svelato nella conclusiva “Who Brings Me” (“Tu, mio amore, che svegli ogni mio giorno, mio tutto mio amore”) si apprezza l’eleganza tenue con cui “Evening Mood” allude all’esperienza della maternità: “Era mezza estate, naturale sentire il vagabondare della notte, lei si muoveva sotto, non vista”, racconta avendo sullo sfondo una pulsazione cardiaca filtrata al punto da renderla subliminale.
In procinto di varcare la soglia dei 40 anni, Julia Holter consolida con Something in the Room She Moves la propria reputazione di artista dal talento anomalo, in posizione intermedia fra Laurie Anderson e Kate Bush.