Jon Hassell: l’ascolto verticale
A 81 anni il trombettista statunitense aggiorna la sua visione del Quarto Mondo in Listening Pictures
Ascoltare le immagini. Non è una variante del vecchio adagio che equiparava lo scrivere di musica al danzare di architettura: si tratta piuttosto della sintesi di quanto teorizzato dal trombettista statunitense Jon Hassel concependo questo disco. Nelle sue parole: «Gran parte del mondo percepisce la musica nei termini di un flusso che avanza, basandosi su dove la musica va e cosa viene dopo. C’è però un’altra angolatura: l’ascolto verticale, che consiste nel sentire quel che accade al momento».
E nel sottotitolo dell’opera allude a ciò che nell’arte pittorica si usa chiamare “pentimento”, ossia la stratificazione successiva di stesure differenti. Così va considerato dunque il contenuto di Listening to Pictures, che d’altro canto sembra rappresenti l’aggiornamento dei linguaggi da lui esplorati al principio della carriera, quando formulò la nozione di Quarto Mondo, associando alla scuola minimalista di provenienza (partecipò nel marzo 1968 alla prima registrazione di In C di Terry Riley, per dire) la folgorazione per lo stile vocale del maestro indiano Pandit Pran Nath, che tentò di emulare filtrando il timbro dello strumento attraverso congegni analogici nell’album con il quale esordì nel 1977, Vernal Equinox.
Combinando impulsi arcaici e nuove tecnologie, agli albori del decennio seguente espresse compiutamente quella sorta di primitivismo futurista nel disco realizzato insieme a Brian Eno, intestato appunto Fourth World, Vol. 1: Possibile Musics. Tali precetti vengono messi a confronto ora con l’evoluzione digitale: una transizione coerente con l’habitat che accoglie l’operazione, essendo la neonata etichetta Nedya, di cui Hassell stesso è titolare, sostenuta sul piano organizzativo dalla Warp di Sheffield, culla della dance music “intelligente”.
Ecco allora che in episodi quali “Picnic” (dove mette lo zampino il produttore londinese Bass Clef) e “Pastorale Vassant” le ritmiche risultano nervose e asimmetriche, mentre altrove – in “Slipstream” e nell’esemplare “Al Kongo Udu” – la vibrazione esotica riafferma viceversa l’originaria intenzione etnica. Filo conduttore nella tessitura narrativa è il suono inconfondibile della sua tromba: ovattato – tanto da somigliare al Davis maturo, in “Manga Scene” – e quasi soffocato, come nell’iniziale e fascinosissima “Dreaming”.
Potremmo concludere dicendo che Listening to Pictures è un lavoro di fattura notevolissima, anche se a renderlo davvero ammirevole è anzitutto la freschezza intellettuale del protagonista, alla veneranda età di 81 anni.