John Renbourn, il fantasma dei Pentangle a Brema

A Maid in Bremen, eccezionale live del 1978 per riscoprire il suono dal vivo del John Renbourn Group al suo apice

John Renbourn Group A Maid in Bremen
Disco
world
John Renbourn Group
A Maid in Bremen
MIG Music
2021

Sì, lo sappiamo che l'avvento del digitale ha aperto, o per meglio dire spalancato le porte di un curioso inferno – paradiso per i musicofili: gli archivi “live” che un tempo si centellinavano per le uscite discografiche ora sono materiale grezzo da vendere al chilo. C'è un sito specializzato, negli Stati Uniti, che vende a buon prezzo decine di migliaia di concerti, certosinamente catalogati per artista, e con chiavi di ricerca che possono comprendere luogo, data, nomi, eccetera, su formato digitale o in cd, basta chiedere. Ai tempi del primo lockdown il responsabile del tutto “regalò” qualche centinaio di concerti via internet agli appassionati. Altro che bootleg gracchianti e inascoltabili.

E allora, ha senso parlare di un cd tratto da un concerto di quarantatré anni fa, e consigliarne l'ascolto, se non l'acquisto? Ha senso, se il concerto è di assoluta eccellenza, e ci restituisce uno o più tasselli mancanti per un qualche quadro storico importante, o che, quantomeno, getti uno squarcio di luce su un certo momento. E ha maggior senso ancora se il concerto medesimo è stato fonofissato come si deve, restituendo il senso compiuto di un evento altrimento destinato a svanire. Quando il John Renbourn Group intraprese il lungo tour europeo a cui è stata tratta la splendida registrazione del 14 febbraio 1978 a Brema, quella serata di San Valentino c'era un fantasma incombente alle spalle di Renbourn e di Jacqui McShee, una delle più grandi e gentili voci del folk inglese: il fantasma dei Pentangle.

Era stata un'avventura a perdifiato durata sei anni, aveva cambiato le sorti del folk rock in terra d'Albione, mostrando al mondo che tinte folk, moderate prese di spezie orientali, improvvisazione jazz, occasionali indurimenti rock, richiami al patrimonio di musica antica, rinascimentale e barocca potevano convivere, e bene. Così aveva continuato a fare Renbourn nella sua carriera solistica, con dischi sofisticati e sognanti.

Il John Renbourn Group raccolse la prima eredità. Qui, accanto alla dolce musa McShee e le corde fatate di quell'orso affabile che fu Renbourn trovate Tony Roberts a flauto, oboe e rinforzo vocale, Kewshav Sather alle tablas (che prende un momento di “solo” memorabile) dal John Mayer's Indo-Jazz Fusion, conosciuto in una jam session da Renbourn, e il violoncello struggente di Sandy Spencer, unica registrazione esistente della musicista con questa formazione, prima di rientrare negli Stati Uniti. Un'altro pentangolo.

Scaletta impressionante e “aperta”, dal blues di "Turn Your Money Green" di Furry Lewis alla "John Barleycorn" folk rock “alternativa” rispetto alla celeberrima versione dei Traffic di Stevie Winwood, danze gitane ed ebraiche (da antiche intavolature per liuto), un'epocale "Cruel Sister". Ripresa sonora limpida e gonfia di armonici, per una serata rilassata e intensa come di rado ascoltate. E per fortuna, e scrupolo, salvata.

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