Iosonouncane: i giorni dell’Ira
Perché Ira di Iosonouncane viene considerato (quasi a priori) il Sacro Graal della musica italiana “offstream”?
A proposito di Ira, terzo album di Jacopo Incani alias Iosonouncane, trentottenne artista originario di Buggerru, nell’iglesiente, emigrato a Bologna, il vero interrogativo è: perché mai un’opera simile viene considerata – quasi a priori – il Sacro Graal della musica italiana “offstream”?
Perché mai Ira viene considerato – quasi a priori – il Sacro Graal della musica italiana “offstream”?
Risposta: l’ostentata e fiera alterità. Il nuovo lavoro di Iosonouncane si mostra infatti anacronistico già nel formato: un flusso di 110 minuti evidentemente concepito per un ascolto non frammentario, qual è viceversa il modello imposto dalla parcellizzazione del consumo in streaming o radiofonico. E per di più agli antipodi dalle semplificazioni stilistiche attualmente in voga, che sia l’hip hop ridotto a trap o il rock su scala Maneskin.
Non bastasse questo, ecco l’idioma: in piena onda “itpop”, una sorta di collage meticcio – definito dall’ideatore “lingua momentanea” – a base di francese, inglese, spagnolo, arabo e tedesco (valga ad esempio l’incipit del brano iniziale, “Hiver”: “Ciudad loin and cold and land and récolte and waste chant”).
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Scostamento rilevante, se ricordiamo che nel 2015 il disco precedente – Die – era entrato nella cinquina dei finalisti al Premio Tenco e aggiungiamo a ciò la doppia evocazione di quel cantautore inscenata da Incani affermando di aver derivato il nome d’arte da “Io sono uno” e reinterpretando l’autunno scorso “Vedrai vedrai”.
Con Ira è andato invece altrove, pur ancorando l’evoluzione a un corpo sonoro che conserva alcuni tratti riconoscibili: anzitutto l’aspirazione a una musicalità cosmopolita, infusa dall’ancestrale forza rituale della musica stessa, testimoniata dagli show della tournée di Die. Proprio facendo leva sulla formazione al suo fianco allora, integrata da un paio d’altri strumentisti, Iosonouncane si è messo al lavoro tre anni fa per realizzare Ira, la cui pubblicazione avrebbe dovuto essere anticipata – una primavera fa – da una serie di sette concerti a soggetto (rinviata ora all’aprile 2022, mentre le prossime esibizioni estive avranno configurazione differente).
Il risultato è imponente, dicevamo, e di ardua decifrabilità. Qualche indizio è stato disseminato dall’autore, indicando le stelle polari che hanno indirizzato il cammino: il folklore del Maghreb (gli echi del quale si riverberano in “Foule” e nel tour-de-force apocalittico di “Hajar”), Robert Wyatt (la fragilità del falsetto, com’è in “Ashes”), gli Swans (nel solenne andamento da mantra pagano di “Prière”), il “kraut rock” psichedelico dei Can (che trapela dall’incalzante “Jabal”) e i Radiohead (percepibili in “Piel” o “Fleuve”).
Scorre in quell’habitat la narrazione, a volte esposta con tono da chansonnier smarrito nell’iperuranio (struggente in “Nuit”), scandita da titoli icastici (come in un Vecchio Testamento: Inverno, Ceneri, Folla, Montagna, Notte, Prigione, Orizzonte, Preghiera, Soldati, Fiume, Sangue, Pietra…) e animata da personaggi enigmatici (Ayna, Jadid, Kharuf).
Ira ha insomma stazza da kolossal e fattezze visionarie, dunque ci vorrà tempo per assimilarlo interamente: accadrà magari quando potrà dispiegarsi in maniera compiuta dal vivo. Per il momento accettiamone la complessità e accogliamo la sfida che pone implicitamente, dedicandogli lo spazio e l’attenzione dovuti.
In attesa dei concerti e dell'uscita sulle piattaforme di streaming, Ira sarà ascoltabile in anteprima il 13 maggio in diversi club italiani.