Il segreto di Venerus

Una mezz’ora di “musica umana” da Venerus, cantautore milanese ora innamorato del passato

Venerus Il segreto
Disco
pop
Venerus
Il segreto
Sony
2023

Il milanese Andrea Venerus, definito in arte solo dal cognome, è una sorta di anomalia nella scena nazionale.

– Leggi anche: Venerus potrebbe essere la cosa nuova del pop italiano

Allevato nell’incubatore del rap nostrano, come provano le partnership con i vari Franco 126, Gemitaiz, Ghali e Mace, crescendo ha finito per aderire al prototipo del cantautore: «Ci ho messo un po’ a capire che cosa sono e alla fine di quello si tratta: uno che scrive testi e musica e interpreta le sue canzoni. Non è un genere musicale, semmai un mestiere, ed è quello che faccio, senza alcun dubbio», mi ha detto una volta.

Entrato in grande stile negli anni Venti, con l’album d’esordio Magica musica e l’ambizioso show L’estasi degli angeli, cui è seguita una tournée europea in solitudine (piano e voce), ha catalizzato l’attenzione su di sé e si trova adesso a doversi confrontare con aspettative considerevoli, riferite in particolare al disco nuovo: Il segreto.

In apparenza la montagna ha partorito un topolino, quanto meno in termini di stazza: una decina di brani in poco più di mezz’ora, la metà esatta del lavoro precedente. All’ascolto, il distanziamento dai suoi trascorsi hip hop suona definitivo e lo conduce a un approdo dalla morfologia rétro. Ciò non accade per caso, se consideriamo la sua intenzione programmatica: «In un mondo che va verso l’intelligenza artificiale, questo album è il manifesto della musica umana».

«In un mondo che va verso l’intelligenza artificiale, questo album è il manifesto della musica umana».

Prima di mettersi all’opera, mi aveva confessato: «Sono innamorato di certe cose del passato e adoro andare nei negozi a cercare vecchi vinili. Fino a qualche anno fa ero molto più attento all’attualità, ma a un certo punto mi sono reso conto che i dischi da cui sono davvero affascinato appartengono ad altre epoche, diciamo dai primi anni Sessanta alla fine dei Settanta. Sono rapito da come veniva concepita e realizzata la musica allora».

Deriva da ciò la scelta di registrare in presa diretta a casa sua, che conferisce al materiale un’aura di tepore informale: contesto idoneo ad accogliere la natura confidenziale della narrazione. Venerus indugia sovente sul sentimento amoroso: nell’iniziale “Istruzioni” e subito dopo – su galante cadenza di bossa nova da Battisti latino – in “Faresti lo stesso” (“Fatti trovare al buio, dove l’amore è più profondo”), compiendo addirittura atto di sottomissione alla maniera di Iggy Pop con “Il tuo cane” (“Mi basterebbe poterti annusare, saprei leccare ogni tua ferita”, salvo evocare Battiato cantando: “Sarò la tua cura in ogni gioia e nel dolore”) e raggiungendo infine il climax nell’apice pop della sequenza, “Resta qui”.

 

 

Altrove lo osserviamo vagare randagio in città e imbattersi in figure femminili, come capita fra le pieghe funk di “Sola” (“Si avvicina così magica, quasi non sembra reale, lo sguardo perso nell’anima”) e le languide voluttà di “Sai che c’è” (“Noi che balliamo nudi mentre aspettiamo la sera”), oppure affidare il proprio destino all’arbitrio di un taxista (“Mi porti a fare un giro, si inventi una destinazione, ho voglia di perder tempo, sentirmi un po’ meno coglione”) in “Non imparo mai”.

Durante quest’ultima, si domanda in chiave retorica: “Ma ormai hai fatto trent’anni, quando pensi di crescere?”. E riprende l’argomento nella conclusiva “Fantasia”, ballata acustica da falò in riva al mare: “Mi hanno detto già che forse dovrei crescere, ho sospirato e poi mi sono messo a ridere”, racconta, siccome “ho costruito il mio castello sopra le nuvole, ora non voglio aprire gli occhi, non voglio smettere”, recita il ritornello.

Ecco l’istantanea di sé stesso che ci consegna: ritrae un artista di talento che non intende rinunciare ai sogni, a costo di sacrificare i benefici dell’integrazione nel mainstream.

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